In linea generale, nel nostro diritto penale la pena costituisce il frutto di un compromesso tra le diverse necessità dello Stato, un quid compositum, ove esigenze di prevenzione generale e speciale si innestano sul nucleo centrale di carattere retributivo; da questo punto di vista, se la commisurazione della pena si colloca in un’ottica esclusiva di retribuzione, il momento esecutivo introduce considerazioni di prevenzione speciale. Ed è in tale contesto che trovano asilo quelle misure capaci di realizzare il paradigma della “pena elastica”, risultante dalla combinazione delle disposizioni di cui all’art. 27 Cost. e l’esigenza di soddisfare il bisogno di adeguamento della sanzione penale alle condizioni soggettive del reo ed alla particolarità dell’episodio concreto richiesto dai principi di personalità (art. 27 comma 1 Cost.) e di uguaglianza (art. 3 comma 1 Cost.) le quali, evidentemente, esaudiscono le opportunità di recupero del condannato. Da qui la originalità della soluzione adottata dal legislatore nella individuazione di una giurisdizione “specializzata” nel settore propriamente dedicato all’adeguamento della pena alle potenzialità di “risocializzazione” del condannato e, dunque, la necessità di approfondire le attribuzioni specificamente riservate alla Magistratura di sorveglianza, deputata a vagliare la applicabilità di quelle “misure trattamentali” (finalizzate a conferire attuazione alle istanze di emenda del reo). Ebbene, dal punto di vista lessicale, la locuzione «magistratura di sorveglianza» deve essere correlata al vigente “ordinamento penitenziario” — l. 26 luglio 1975, n. 354 —, che, in sostituzione del Giudice di sorveglianza, previsto dagli artt. 144 e 585 c.p.p. 1930 oltre che dal previgente regolamento penitenziario — r.d. 18 giugno 1931, n. 787 — ha istituito gli Uffici di sorveglianza. Gli “attuali” Uffici di sorveglianza sono connotati dalla coesistenza di un giudice monocratico e di uno collegiale a composizione mista, denominato, all’esordio, «sezione di sorveglianza»: mentre il primo, pur risultando investito di una pluralità di funzioni, si caratterizza fondamentalmente per il ruolo di garante della legalità nei confronti dell’operato dell’amministrazione penitenziaria (art. 69 ord. penit.), il secondo viene chiamato ad amministrare quelle importanti misure di nuova introduzione (affidamento in prova, semilibertà, liberazione anticipata) destinate ad adeguare la pena al percorso rieducativo del singolo condannato In ordine a tale ultimo profilo, un notevole incremento delle prerogative della magistratura di sorveglianza si è registrato a seguito della emanazione della l. 10 ottobre 1986, n. 663. Tra le principali novità apportate dalla novella, avuto specifico riguardo alla figura del magistrato di sorveglianza, basterà ricordare la introduzione dei permessi premio (art. 30-ter ord. penit.) da utilizzare in un’ottica trattamentale; la giurisdizionalizzazione del procedimento per la trattazione dei reclami in materia di lavoro e disciplina (art. 69 comma 6° ord. penit.); l’estensione ai profili di merito del controllo del magistrato di sorveglianza sul provvedimento di ammissione al lavoro all’esterno (art. 69, co. 5° ord. penit.). Quanto al giudice collegiale, contestualmente ribattezzato «tribunale di sorveglianza», non soltanto si è provveduto ad incrementare le competenze di tale organo nel settore delle misure alternative, ma sono state introdotte competenze nuove ed ulteriori rispetto alla sua tradizionale configurazione di “giudice delle misure alternative”. Si pensi alla regolamentazione del regime di sorveglianza particolare, introdotto per dare un’adeguata soluzione legislativa al problema dei “detenuti pericolosi” nonché alla introduzione della competenza del tribunale di sorveglianza a provvedere in tema di rinvio — obbligatorio o facoltativo — dell’esecuzione (artt. 146 e 147 c.p.).

Magistratura di Sorveglianza

GRIFFO M
2008-01-01

Abstract

In linea generale, nel nostro diritto penale la pena costituisce il frutto di un compromesso tra le diverse necessità dello Stato, un quid compositum, ove esigenze di prevenzione generale e speciale si innestano sul nucleo centrale di carattere retributivo; da questo punto di vista, se la commisurazione della pena si colloca in un’ottica esclusiva di retribuzione, il momento esecutivo introduce considerazioni di prevenzione speciale. Ed è in tale contesto che trovano asilo quelle misure capaci di realizzare il paradigma della “pena elastica”, risultante dalla combinazione delle disposizioni di cui all’art. 27 Cost. e l’esigenza di soddisfare il bisogno di adeguamento della sanzione penale alle condizioni soggettive del reo ed alla particolarità dell’episodio concreto richiesto dai principi di personalità (art. 27 comma 1 Cost.) e di uguaglianza (art. 3 comma 1 Cost.) le quali, evidentemente, esaudiscono le opportunità di recupero del condannato. Da qui la originalità della soluzione adottata dal legislatore nella individuazione di una giurisdizione “specializzata” nel settore propriamente dedicato all’adeguamento della pena alle potenzialità di “risocializzazione” del condannato e, dunque, la necessità di approfondire le attribuzioni specificamente riservate alla Magistratura di sorveglianza, deputata a vagliare la applicabilità di quelle “misure trattamentali” (finalizzate a conferire attuazione alle istanze di emenda del reo). Ebbene, dal punto di vista lessicale, la locuzione «magistratura di sorveglianza» deve essere correlata al vigente “ordinamento penitenziario” — l. 26 luglio 1975, n. 354 —, che, in sostituzione del Giudice di sorveglianza, previsto dagli artt. 144 e 585 c.p.p. 1930 oltre che dal previgente regolamento penitenziario — r.d. 18 giugno 1931, n. 787 — ha istituito gli Uffici di sorveglianza. Gli “attuali” Uffici di sorveglianza sono connotati dalla coesistenza di un giudice monocratico e di uno collegiale a composizione mista, denominato, all’esordio, «sezione di sorveglianza»: mentre il primo, pur risultando investito di una pluralità di funzioni, si caratterizza fondamentalmente per il ruolo di garante della legalità nei confronti dell’operato dell’amministrazione penitenziaria (art. 69 ord. penit.), il secondo viene chiamato ad amministrare quelle importanti misure di nuova introduzione (affidamento in prova, semilibertà, liberazione anticipata) destinate ad adeguare la pena al percorso rieducativo del singolo condannato In ordine a tale ultimo profilo, un notevole incremento delle prerogative della magistratura di sorveglianza si è registrato a seguito della emanazione della l. 10 ottobre 1986, n. 663. Tra le principali novità apportate dalla novella, avuto specifico riguardo alla figura del magistrato di sorveglianza, basterà ricordare la introduzione dei permessi premio (art. 30-ter ord. penit.) da utilizzare in un’ottica trattamentale; la giurisdizionalizzazione del procedimento per la trattazione dei reclami in materia di lavoro e disciplina (art. 69 comma 6° ord. penit.); l’estensione ai profili di merito del controllo del magistrato di sorveglianza sul provvedimento di ammissione al lavoro all’esterno (art. 69, co. 5° ord. penit.). Quanto al giudice collegiale, contestualmente ribattezzato «tribunale di sorveglianza», non soltanto si è provveduto ad incrementare le competenze di tale organo nel settore delle misure alternative, ma sono state introdotte competenze nuove ed ulteriori rispetto alla sua tradizionale configurazione di “giudice delle misure alternative”. Si pensi alla regolamentazione del regime di sorveglianza particolare, introdotto per dare un’adeguata soluzione legislativa al problema dei “detenuti pericolosi” nonché alla introduzione della competenza del tribunale di sorveglianza a provvedere in tema di rinvio — obbligatorio o facoltativo — dell’esecuzione (artt. 146 e 147 c.p.).
2008
978-88-12-00037-1
magistrato di sorveglianza; tribunale di sorveglianza; ordinamento penitenziario
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12070/9472
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