La figura di imputato è stata oggetto di notevoli contributi tra gli anni ’50 e ’70 da parte della dottrina coeva, tanto che l’apparente condivisione dei risultati raggiunti sul concetto, sulla natura, sull’ambito e sulla funzione della situazione soggettiva ha prodotto una sorta di permanente disinteresse della letteratura successiva all’entrata in vigore del codice di procedura penale del 1988. Perciò, la posizione soggettiva, ridotta a mera enunciazione nozionistica o a categoria priva di utilità — sia dal punto di vista dogmatico che da quello pratico —, non ha fatto registrare sforzi tesi ad esplorare le situazioni connesse alla novellata veste del destinatario dell’accertamento, comunque oggetto di attenzioni da parte del Costituente repubblicano. L’atarassia della dottrina, chiara figlia dei condizionamenti linguistici ingenerati dal lessico del “vecchio” codice, ha compromesso qualsiasi tentativo di approccio innovativo al tema ed ha prodotto uno stallo speculativo allorché la terminologia legislativa è stata utilizzata indipendentemente dagli interrogativi posti dalla corretta qualificazione della situazione processuale nonché dagli effetti normativi alla medesima riconducibili. Per tale via, si è registrata la disaffezione a temi dall’esclusiva apparenza teorica, indotta dalla ritenuta sufficienza della disciplina codicistica, che ha fatto stimare meramente esercitativi i tentativi di approfondimento delle ragioni e dei limiti della autonomia concettuale della figura. Ciò che è apparso più offuscato in questi anni è stata la ricaduta processuale della rivoluzione linguistica attuata dal legislatore del 1988. Invero, é netta la scelta di connettere l’acquisto della qualità di imputato all’opzione del pubblico ministero di inoltrare la domanda di giudizio. In un rinnovato intendimento sostanzialistico dell’azione penale, si staglia inequivoca la volontà del legislatore di collocare l’atto imputativo al centro del sistema processuale; elemento di passaggio dal procedimento al processo nonché atto delimitativo dell’oggetto di prova sul quale l’organo giudicante viene chiamato a decidere. Ma imputazione è, soprattutto, l’elemento attributivo di uno status a cui il sistema riconnette diritti, poteri e facoltà riconosciuti a livello codicistico, nonché costituzionale ed internazionale. Nell’abbandono del lessico del 1930, allora, la inequivocabilità del linguaggio appare la scelta più significativa del legislatore del 1988, non di mera facciata perché sorretta dalla consapevolezza che soltanto il superamento delle ambiguità linguistiche del 1930 avrebbe potuto realizzare la filosofia sottesa al nuovo sistema codicistico; ove la disomogeneità fasica fa emergere situazioni soggettive destinatarie di specifiche tutele funzionali agli epiloghi individuati per ciascun peculiare segmento di riferimento. Sul presupposto della imprescindibilità dell’imputazione ai fini dell’acquisto dello status di imputato bisogna, comunque, evidenziare come nel nostro sistema assuma precipua rilevanza il raccordo dell’accadimento storico alla fattispecie penale secondo la descrizione dei singoli comportamenti, oggettivi e soggettivi, nonché del risultato materiale dell’azione che si presume criminosa. Sicché, già sotto il profilo logico, le operazioni appaiono distinte e funzionalmente orientate a scopi diversi, anche se convergenti: il fatto processuale è l’oggetto della prova, mentre la successiva sussunzione nell’ambito di una fattispecie penale ne determina la punibilità; il primo è dato dalla materialità del comportamento, la seconda è un giudizio di valore: è questo il significato della scansione tra “fatto contestato” e norme violate, a diverso titolo e con diversa intensità, racchiusa negli artt. 375; 65; 415-bis; 417; ecc. c.p.p. Di qui la centralità della imputazione e del fatto che suo tramite si contesta quanto alle vicende del processo.
Imputato
GRIFFO M
2006-01-01
Abstract
La figura di imputato è stata oggetto di notevoli contributi tra gli anni ’50 e ’70 da parte della dottrina coeva, tanto che l’apparente condivisione dei risultati raggiunti sul concetto, sulla natura, sull’ambito e sulla funzione della situazione soggettiva ha prodotto una sorta di permanente disinteresse della letteratura successiva all’entrata in vigore del codice di procedura penale del 1988. Perciò, la posizione soggettiva, ridotta a mera enunciazione nozionistica o a categoria priva di utilità — sia dal punto di vista dogmatico che da quello pratico —, non ha fatto registrare sforzi tesi ad esplorare le situazioni connesse alla novellata veste del destinatario dell’accertamento, comunque oggetto di attenzioni da parte del Costituente repubblicano. L’atarassia della dottrina, chiara figlia dei condizionamenti linguistici ingenerati dal lessico del “vecchio” codice, ha compromesso qualsiasi tentativo di approccio innovativo al tema ed ha prodotto uno stallo speculativo allorché la terminologia legislativa è stata utilizzata indipendentemente dagli interrogativi posti dalla corretta qualificazione della situazione processuale nonché dagli effetti normativi alla medesima riconducibili. Per tale via, si è registrata la disaffezione a temi dall’esclusiva apparenza teorica, indotta dalla ritenuta sufficienza della disciplina codicistica, che ha fatto stimare meramente esercitativi i tentativi di approfondimento delle ragioni e dei limiti della autonomia concettuale della figura. Ciò che è apparso più offuscato in questi anni è stata la ricaduta processuale della rivoluzione linguistica attuata dal legislatore del 1988. Invero, é netta la scelta di connettere l’acquisto della qualità di imputato all’opzione del pubblico ministero di inoltrare la domanda di giudizio. In un rinnovato intendimento sostanzialistico dell’azione penale, si staglia inequivoca la volontà del legislatore di collocare l’atto imputativo al centro del sistema processuale; elemento di passaggio dal procedimento al processo nonché atto delimitativo dell’oggetto di prova sul quale l’organo giudicante viene chiamato a decidere. Ma imputazione è, soprattutto, l’elemento attributivo di uno status a cui il sistema riconnette diritti, poteri e facoltà riconosciuti a livello codicistico, nonché costituzionale ed internazionale. Nell’abbandono del lessico del 1930, allora, la inequivocabilità del linguaggio appare la scelta più significativa del legislatore del 1988, non di mera facciata perché sorretta dalla consapevolezza che soltanto il superamento delle ambiguità linguistiche del 1930 avrebbe potuto realizzare la filosofia sottesa al nuovo sistema codicistico; ove la disomogeneità fasica fa emergere situazioni soggettive destinatarie di specifiche tutele funzionali agli epiloghi individuati per ciascun peculiare segmento di riferimento. Sul presupposto della imprescindibilità dell’imputazione ai fini dell’acquisto dello status di imputato bisogna, comunque, evidenziare come nel nostro sistema assuma precipua rilevanza il raccordo dell’accadimento storico alla fattispecie penale secondo la descrizione dei singoli comportamenti, oggettivi e soggettivi, nonché del risultato materiale dell’azione che si presume criminosa. Sicché, già sotto il profilo logico, le operazioni appaiono distinte e funzionalmente orientate a scopi diversi, anche se convergenti: il fatto processuale è l’oggetto della prova, mentre la successiva sussunzione nell’ambito di una fattispecie penale ne determina la punibilità; il primo è dato dalla materialità del comportamento, la seconda è un giudizio di valore: è questo il significato della scansione tra “fatto contestato” e norme violate, a diverso titolo e con diversa intensità, racchiusa negli artt. 375; 65; 415-bis; 417; ecc. c.p.p. Di qui la centralità della imputazione e del fatto che suo tramite si contesta quanto alle vicende del processo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.