Agli inizi del Novecento le concezioni monetarie e bancarie più diffuse traevano larga ispirazione dal modello neoclassico. Questo modello, caratterizzato dalla struttura dicotomica tra settore reale e monetario dell’economia, descrive il funzionamento dell’economia di mercato in termini di una economia di baratto indiretto, la cui condizione di equilibrio risulta determinata dalla libera espletazione dell’attività di scambio tra agenti economici razionali. Ciò sta a significare che secondo questa impostazione di pensiero, l’economia di mercato è considerata come organizzata in modo che la produzione sia sempre finalizzata al consumo, produttivo o improduttivo che sia. In quest’ottica, il ruolo delle banche si ridurrebbe a quello di mero intermediario finanziario, il cui scopo altro non è che quello di raccogliere depositi da parte delle famiglie e di trasferire la moneta, così raccolta, alle imprese per permettere loro di comperare i fattori della produzione di cui necessitano per l’espletazione della loro attività. Il modello neoclassico, benché dominante, fu oggetto di varie critiche, soprattutto per ciò che riguarda la sua capacità di cogliere i tratti caratteristici dell’economia di mercato, come ad esempio quello del ciclo. In questo saggio ci si pone l’obiettivo di studiare i manuali e i trattati di tre grandi maestri neoclassici italiani di inizio Novecento – Enrico Barone, Gustavo del Vecchio e Umberto Ricci – con l’obiettivo di dimostrare come questi, pur rimanendo fedeli alla loro impostazione teorica di tipo neoclassico-walrasiana, fecero significative concessioni all’impostazione teorica classico-wickselliana, al fine di superare i suddetti limiti di aderenza del modello neoclassico alla realtà.
Moneta e finanziamento della produzione nei manuali e trattati neo-classici del primo Novecento
REALFONZO R;TORTORELLA ESPOSITO G
2007-01-01
Abstract
Agli inizi del Novecento le concezioni monetarie e bancarie più diffuse traevano larga ispirazione dal modello neoclassico. Questo modello, caratterizzato dalla struttura dicotomica tra settore reale e monetario dell’economia, descrive il funzionamento dell’economia di mercato in termini di una economia di baratto indiretto, la cui condizione di equilibrio risulta determinata dalla libera espletazione dell’attività di scambio tra agenti economici razionali. Ciò sta a significare che secondo questa impostazione di pensiero, l’economia di mercato è considerata come organizzata in modo che la produzione sia sempre finalizzata al consumo, produttivo o improduttivo che sia. In quest’ottica, il ruolo delle banche si ridurrebbe a quello di mero intermediario finanziario, il cui scopo altro non è che quello di raccogliere depositi da parte delle famiglie e di trasferire la moneta, così raccolta, alle imprese per permettere loro di comperare i fattori della produzione di cui necessitano per l’espletazione della loro attività. Il modello neoclassico, benché dominante, fu oggetto di varie critiche, soprattutto per ciò che riguarda la sua capacità di cogliere i tratti caratteristici dell’economia di mercato, come ad esempio quello del ciclo. In questo saggio ci si pone l’obiettivo di studiare i manuali e i trattati di tre grandi maestri neoclassici italiani di inizio Novecento – Enrico Barone, Gustavo del Vecchio e Umberto Ricci – con l’obiettivo di dimostrare come questi, pur rimanendo fedeli alla loro impostazione teorica di tipo neoclassico-walrasiana, fecero significative concessioni all’impostazione teorica classico-wickselliana, al fine di superare i suddetti limiti di aderenza del modello neoclassico alla realtà.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.