Pierpaolo Forte Le fondazioni come autonomie amministrative sociali, in G. Palma, P. Forte (a cura di), Fondazioni. Tra problematiche pubblicistiche e tematiche privatistiche, Torino, 2008 Abstract Il lavoro usa un approccio che suppone che i rapporti giuridici e, dunque, le posizioni giuridiche e i connessi istituti sono costrutti, vere e proprie invenzioni di quel particolare ramo delle scienze sociali che definiamo, appunto, giuridiche, che tutti i fenomeni giuridici sono prodotti del diritto per le relazioni umane, sono abito, confezione, regola. E perciò è comprensibile che quando il diritto si rivolge ad uomini riuniti in gruppi strutturati – coppia, famiglia, comunità, chiesa, condominio, impresa, organizzazione non commerciale, esercito, istituzione pubblica, ecc. – la disciplina giuridica è ovviamente diversa da quella richiesta per i singoli individui, pur ad essi sempre ricondotta; e mutevole in ragione delle diverse caratteristiche dei gruppi – la famiglia non è la chiesa, che non è l’impresa, che non è lo Stato, che non è l’associazione La "tecnica" della persona giuridica, alla luce di questo approccio, non è il solo strumento per il regime giuridico dei gruppi strutturati, e si può prendere in considerazione, ad esempio, il bisogno che il gruppo rappresenta e i mezzi per affrontarlo. Lo studio esamina gli argomenti che hanno fondato l’ostracismo storico per le fondazioni, ma dimostra anche come vi siano state notevoli e persistenti eccezioni quando le tecniche che esse usano, la immobilizzazione patrimoniale, ovvero la destinazione vincolata dell’uso di talune ricchezze individuate, abbia scopi di “pubblica utilità”, mitigando il diffuso assunto che le vuole essere state osteggiate e perciò non disciplinate, o addirittura avversate dal diritto positivo italiano sino all’avvento della Costituzione, e mitigando l'altrettanto diffusa opinione che la sistematica codicistica italiana del 1942, che contemplava, tra i pochi codici in Europa a quel momento, le fondazioni, fosse chiaramente figlia del solo corporativismo, e dunque ostile ad ogni forma di organismo intermedio. Prova così a dimostrare che già prima della codificazione del 1942 è sempre stato piuttosto evidente che l’immobilizzazione patrimoniale sia tollerabile solo se connessa ad utilità ultraindividuali, e non lucrative; da ciò, propone che la connessione tra fondazione e bisogni sociali, collettivi, sia una vera e propria costante, un carattere della Fondazione, mentre il regime giuridico formale della sua costituzione e le connessioni con le istituzioni pubbliche di governo non è elemento strutturale della configurazione giuridica dell’istituto. Il lavoro prova poi a dimostrare che anche le fondazioni riguardano il gruppo umano, in quanto nascono per soddisfare bisogni attinenti ai rapporti tra persone, e sono organizzazioni fatte di più soggetti, con l’impegno di persone – non di una sola – per altre persone – non per una sola, ed usano uno strumentario che costituisce una pluralità di regole, e dunque un sistema normativo, uno schema che le può riportare al concetto di istituzione. Ed anzi, analizzando le implicazioni del progetto costituzionale del 1948 rilevanti per l'argomento, il lavoro giunge a proporre di considerare le Fondazioni come autonomie sociali. Mettendo in rilievo come l’interesse pubblico abbia da tempo cessato di essere maneggiato esclusivamente dai corpi politici e di governo pubblici, e come la funzione pubblica sia sempre più un compito oggettivo, la cui conduzione non è necessariamente pubblica in senso soggettivo, lo studio si sofferma sulla centralità dell’art. 4, comma 2, Cost. che si rivela il punto di completamento del circuito di una Repubblica plurale. A partire da questa disposizione è infatti possibile costruire un sistema sociale nel quale i cittadini che ne hanno “possibilità” vedono imputato su di se’ il compito del concorso “al progresso materiale o spirituale della società”, la responsabilità dunque di dare sostanza ai processi decisionali ad effetto collettivo non solo mediante le organizzazioni politiche e sindacali. Discutere oggi dell’”interesse pubblico” (e, di riflesso, anche degli scopi delle fondazioni), dunque, significa dibattere di come i bisogni collettivi vengano affrontati, in una dialettica che non si svolge più entro i soli confini dell’arena politica dove si confrontano i partiti politici, e dei luoghi istituzionali di governo in cui ciò avviene, poiché non solo il rafforzamento delle autonomie istituzionali ha aumentato le sedi di quel confronto, ma è ormai chiaro che il pluralismo sociale vi attrae formazioni e gruppi che partecipano, potenzialmente in ogni sua fase, alla dinamica delle decisioni collettive; e poiché, s’è visto, l’orientamento a prendersi cura di bisogni collettivi è il vero nucleo storico che connota l’istituto della fondazione, ciò influisce anche sulla sua lettura giuridica. L’analisi del ruolo delle fondazioni, come congegni giuridici “naturalmente” volti alle necessità sociali, e l’approccio a partire dal secondo comma dell’art. 4 Cost., può allora offrire una visione che parte dai doveri e dalle responsabilità di quelle componenti della società che ne sono in grado, e sposta il fuoco dai beneficiari degli interventi sociali (e dunque dalla visione dei “diritti sociali”) ai loro artefici, non più “corpi intermedi”, non cuscinetti tra Stato e popolo, una sorta di società civile estranea all’uno e all’altro (poiché l’uno e l’altro, così, si suppongono a loro volta tra loro estranei, seppur connessi), ma ma “formazioni sociali”, organizzazioni della stessa essenza comunitaria dello Stato e delle altre istituzioni pubbliche territoriali, di cui infatti vanno considerate componenti al pari degli individui che, anche in esse, svolgono la propria personalità, e concorrono, con quelle, al composto unitario della Repubblica. Così messe, le fondazioni sono espressione di una autonomia tutt'altro che privata, poiché implicata nell'adempimento “dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2 Cost.), e nel “rimuovere gli ostacoli" dell'art. 3, comma 2, Cost.; e quando operano in territori circoscritti ben possono rientrare nel sistema di protezione che per le autonomie locali (declinate, si badi bene, al plurale) è approntato dall’art. 5 Cost.; non a caso, il testo attuale dell’art. 118 Cost.parla esplicitamente di “autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”, che gli altri componenti la Repubblica sono tenuti a considerare e favorire. Una attuale visione giuridica delle fondazioni, perciò, le può considerare impegnate in attività che, essendo oggettivamente di interesse collettivo, merita una disciplina adeguata alla sua condizione. Se fatte di sostanza analoga, non si può dire, infatti, che le formazioni sociali siano in tutto e per tutto enti pubblici territoriali, i cui termini della essenza giuridica sono tradizionalmente “comunità” e “territorio”, cui l’esperienza costituzionale ha fatto emergere la “persona” come elemento costitutivo dell’una e significante dell’altro. Il valore politico degli enti componenti della Repubblica si può ritrovare nell'essere strutture in cui la persona indirizza le proprie scelte collettive in prima istanza, ed anche per mezzo di esse partecipa, e dunque se ne sente parte, al composto statuale che, nel nostro linguaggio costituzionale, è appunto la Repubblica. Anche le formazioni sociali sono luoghi potenziali di proiezione (di parte) della personalità di una persona, e perciò componenti in termini politici e, grazie al disposto costituzionale, anche giuridici della Repubblica, vere e proprie istituzioni delle libertà e del pluralismo, declinato a partire dalla responsabilità, con la quale la sistematica costituzionale consente di individuare un possibile pluralismo politico, sociale ed istituzionale, sia che lo si inquadri nel complesso valore solidaristico, sia che se ne prescinda, rilevando in questo caso comunque un intento di carattere evergetico Lo studio cerca di dimostrare come, anche sul piano tecnico, con l’atto di fondazione il cittadino – singolo o associato – partecipa all’individuazione di interessi collettivi da tutelare in via stabile, istituzionale, mediante l’apprestamento di risorse e mezzi privati, e dunque esercita una vera e propria azione politica privata: l’atto di fondazione è disciplinato in guisa di atto politico, il regime dei beni utilizzati si avvicina allo schema della proprietà funzionalizzata, quello degli organi e delle loro decisioni assume i tratti complessi della amministrazione ragionevole, nelle due accezioni che sono possibili, di tipo organizzativo e di attività, il sistema dei controlli si attiva per assicurare la rettitudine tra decisioni dell’organo amministrativo e finalità (interessi), e dunque la dirittura della funzione della Fondazione. Il lavoro va poi alla ricerca di riprove alla proposta sistematica di tipo teorico,con un'analisi funzionale delle fondazioni, e scoprendo un percorso che in termini giuridici appare pienamente coerente con quello della funzione pubblica in termini aggiornati: vi è la selezione, tra quelli collettivi, di uno o più interessi da perseguire, l’apprestamento di una disciplina giuridica e di misure organizzative, e dunque la nascita di una istituzione stabile, o almeno durevole, dotata patrimonialmente e finanziariamente, e con meccanismi decisori di tipo amministrativo. Insomma, la caratteristica essenziale della fondazione, di ogni fondazione, sembra essere nella destinazione stabile di un patrimonio alla cura di interessi sociali, che dà perciò vita ad una amministrazione molto simile a quella pubblica. Ciascuno di questi tornanti è sottoposto ad una rigorosa analisi tecnica, che sembrano riprovare l'assunto teorico, al quale vengono riportati anche gli interventi esterni sulla fondazione: dal riconoscimento alla estinzione. Infine, la ricostruzione proposta sembra fornire materiale utile anche per dare maggiore solidità teorica alle fondazioni cd. di partecipazione e a quelle con scopi formalmente pubblici.

Le fondazioni come autonomie amministrative sociali

FORTE P
2008-01-01

Abstract

Pierpaolo Forte Le fondazioni come autonomie amministrative sociali, in G. Palma, P. Forte (a cura di), Fondazioni. Tra problematiche pubblicistiche e tematiche privatistiche, Torino, 2008 Abstract Il lavoro usa un approccio che suppone che i rapporti giuridici e, dunque, le posizioni giuridiche e i connessi istituti sono costrutti, vere e proprie invenzioni di quel particolare ramo delle scienze sociali che definiamo, appunto, giuridiche, che tutti i fenomeni giuridici sono prodotti del diritto per le relazioni umane, sono abito, confezione, regola. E perciò è comprensibile che quando il diritto si rivolge ad uomini riuniti in gruppi strutturati – coppia, famiglia, comunità, chiesa, condominio, impresa, organizzazione non commerciale, esercito, istituzione pubblica, ecc. – la disciplina giuridica è ovviamente diversa da quella richiesta per i singoli individui, pur ad essi sempre ricondotta; e mutevole in ragione delle diverse caratteristiche dei gruppi – la famiglia non è la chiesa, che non è l’impresa, che non è lo Stato, che non è l’associazione La "tecnica" della persona giuridica, alla luce di questo approccio, non è il solo strumento per il regime giuridico dei gruppi strutturati, e si può prendere in considerazione, ad esempio, il bisogno che il gruppo rappresenta e i mezzi per affrontarlo. Lo studio esamina gli argomenti che hanno fondato l’ostracismo storico per le fondazioni, ma dimostra anche come vi siano state notevoli e persistenti eccezioni quando le tecniche che esse usano, la immobilizzazione patrimoniale, ovvero la destinazione vincolata dell’uso di talune ricchezze individuate, abbia scopi di “pubblica utilità”, mitigando il diffuso assunto che le vuole essere state osteggiate e perciò non disciplinate, o addirittura avversate dal diritto positivo italiano sino all’avvento della Costituzione, e mitigando l'altrettanto diffusa opinione che la sistematica codicistica italiana del 1942, che contemplava, tra i pochi codici in Europa a quel momento, le fondazioni, fosse chiaramente figlia del solo corporativismo, e dunque ostile ad ogni forma di organismo intermedio. Prova così a dimostrare che già prima della codificazione del 1942 è sempre stato piuttosto evidente che l’immobilizzazione patrimoniale sia tollerabile solo se connessa ad utilità ultraindividuali, e non lucrative; da ciò, propone che la connessione tra fondazione e bisogni sociali, collettivi, sia una vera e propria costante, un carattere della Fondazione, mentre il regime giuridico formale della sua costituzione e le connessioni con le istituzioni pubbliche di governo non è elemento strutturale della configurazione giuridica dell’istituto. Il lavoro prova poi a dimostrare che anche le fondazioni riguardano il gruppo umano, in quanto nascono per soddisfare bisogni attinenti ai rapporti tra persone, e sono organizzazioni fatte di più soggetti, con l’impegno di persone – non di una sola – per altre persone – non per una sola, ed usano uno strumentario che costituisce una pluralità di regole, e dunque un sistema normativo, uno schema che le può riportare al concetto di istituzione. Ed anzi, analizzando le implicazioni del progetto costituzionale del 1948 rilevanti per l'argomento, il lavoro giunge a proporre di considerare le Fondazioni come autonomie sociali. Mettendo in rilievo come l’interesse pubblico abbia da tempo cessato di essere maneggiato esclusivamente dai corpi politici e di governo pubblici, e come la funzione pubblica sia sempre più un compito oggettivo, la cui conduzione non è necessariamente pubblica in senso soggettivo, lo studio si sofferma sulla centralità dell’art. 4, comma 2, Cost. che si rivela il punto di completamento del circuito di una Repubblica plurale. A partire da questa disposizione è infatti possibile costruire un sistema sociale nel quale i cittadini che ne hanno “possibilità” vedono imputato su di se’ il compito del concorso “al progresso materiale o spirituale della società”, la responsabilità dunque di dare sostanza ai processi decisionali ad effetto collettivo non solo mediante le organizzazioni politiche e sindacali. Discutere oggi dell’”interesse pubblico” (e, di riflesso, anche degli scopi delle fondazioni), dunque, significa dibattere di come i bisogni collettivi vengano affrontati, in una dialettica che non si svolge più entro i soli confini dell’arena politica dove si confrontano i partiti politici, e dei luoghi istituzionali di governo in cui ciò avviene, poiché non solo il rafforzamento delle autonomie istituzionali ha aumentato le sedi di quel confronto, ma è ormai chiaro che il pluralismo sociale vi attrae formazioni e gruppi che partecipano, potenzialmente in ogni sua fase, alla dinamica delle decisioni collettive; e poiché, s’è visto, l’orientamento a prendersi cura di bisogni collettivi è il vero nucleo storico che connota l’istituto della fondazione, ciò influisce anche sulla sua lettura giuridica. L’analisi del ruolo delle fondazioni, come congegni giuridici “naturalmente” volti alle necessità sociali, e l’approccio a partire dal secondo comma dell’art. 4 Cost., può allora offrire una visione che parte dai doveri e dalle responsabilità di quelle componenti della società che ne sono in grado, e sposta il fuoco dai beneficiari degli interventi sociali (e dunque dalla visione dei “diritti sociali”) ai loro artefici, non più “corpi intermedi”, non cuscinetti tra Stato e popolo, una sorta di società civile estranea all’uno e all’altro (poiché l’uno e l’altro, così, si suppongono a loro volta tra loro estranei, seppur connessi), ma ma “formazioni sociali”, organizzazioni della stessa essenza comunitaria dello Stato e delle altre istituzioni pubbliche territoriali, di cui infatti vanno considerate componenti al pari degli individui che, anche in esse, svolgono la propria personalità, e concorrono, con quelle, al composto unitario della Repubblica. Così messe, le fondazioni sono espressione di una autonomia tutt'altro che privata, poiché implicata nell'adempimento “dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2 Cost.), e nel “rimuovere gli ostacoli" dell'art. 3, comma 2, Cost.; e quando operano in territori circoscritti ben possono rientrare nel sistema di protezione che per le autonomie locali (declinate, si badi bene, al plurale) è approntato dall’art. 5 Cost.; non a caso, il testo attuale dell’art. 118 Cost.parla esplicitamente di “autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”, che gli altri componenti la Repubblica sono tenuti a considerare e favorire. Una attuale visione giuridica delle fondazioni, perciò, le può considerare impegnate in attività che, essendo oggettivamente di interesse collettivo, merita una disciplina adeguata alla sua condizione. Se fatte di sostanza analoga, non si può dire, infatti, che le formazioni sociali siano in tutto e per tutto enti pubblici territoriali, i cui termini della essenza giuridica sono tradizionalmente “comunità” e “territorio”, cui l’esperienza costituzionale ha fatto emergere la “persona” come elemento costitutivo dell’una e significante dell’altro. Il valore politico degli enti componenti della Repubblica si può ritrovare nell'essere strutture in cui la persona indirizza le proprie scelte collettive in prima istanza, ed anche per mezzo di esse partecipa, e dunque se ne sente parte, al composto statuale che, nel nostro linguaggio costituzionale, è appunto la Repubblica. Anche le formazioni sociali sono luoghi potenziali di proiezione (di parte) della personalità di una persona, e perciò componenti in termini politici e, grazie al disposto costituzionale, anche giuridici della Repubblica, vere e proprie istituzioni delle libertà e del pluralismo, declinato a partire dalla responsabilità, con la quale la sistematica costituzionale consente di individuare un possibile pluralismo politico, sociale ed istituzionale, sia che lo si inquadri nel complesso valore solidaristico, sia che se ne prescinda, rilevando in questo caso comunque un intento di carattere evergetico Lo studio cerca di dimostrare come, anche sul piano tecnico, con l’atto di fondazione il cittadino – singolo o associato – partecipa all’individuazione di interessi collettivi da tutelare in via stabile, istituzionale, mediante l’apprestamento di risorse e mezzi privati, e dunque esercita una vera e propria azione politica privata: l’atto di fondazione è disciplinato in guisa di atto politico, il regime dei beni utilizzati si avvicina allo schema della proprietà funzionalizzata, quello degli organi e delle loro decisioni assume i tratti complessi della amministrazione ragionevole, nelle due accezioni che sono possibili, di tipo organizzativo e di attività, il sistema dei controlli si attiva per assicurare la rettitudine tra decisioni dell’organo amministrativo e finalità (interessi), e dunque la dirittura della funzione della Fondazione. Il lavoro va poi alla ricerca di riprove alla proposta sistematica di tipo teorico,con un'analisi funzionale delle fondazioni, e scoprendo un percorso che in termini giuridici appare pienamente coerente con quello della funzione pubblica in termini aggiornati: vi è la selezione, tra quelli collettivi, di uno o più interessi da perseguire, l’apprestamento di una disciplina giuridica e di misure organizzative, e dunque la nascita di una istituzione stabile, o almeno durevole, dotata patrimonialmente e finanziariamente, e con meccanismi decisori di tipo amministrativo. Insomma, la caratteristica essenziale della fondazione, di ogni fondazione, sembra essere nella destinazione stabile di un patrimonio alla cura di interessi sociali, che dà perciò vita ad una amministrazione molto simile a quella pubblica. Ciascuno di questi tornanti è sottoposto ad una rigorosa analisi tecnica, che sembrano riprovare l'assunto teorico, al quale vengono riportati anche gli interventi esterni sulla fondazione: dal riconoscimento alla estinzione. Infine, la ricostruzione proposta sembra fornire materiale utile anche per dare maggiore solidità teorica alle fondazioni cd. di partecipazione e a quelle con scopi formalmente pubblici.
2008
978-88-348-8293-1
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