I macroeconomisti ed i policy makers hanno bisogno di strumenti quantitativi rigorosi – ma realistici – per poter tracciare le traiettorie future e le dinamiche di alcune variabili di interesse – siano questi i consumi delle famiglie, l’indebitamento della pubblica amministrazione, il gettito fiscale o altro – così come la possibilità di definire i possibili effetti di politiche economiche o di shock esterni. I centri di ricerca, le agenzie governative e le banche centrali, tra gli altri, utilizzano in tal senso diversi modelli econometrici, a seconda del focus dell’analisi. Al cuore di tutti questi modelli si trova quasi sempre un blocco macroeconomico “standard”, che rappresenta il funzionamento aggregato del sistema fiscale. A seguito della Stagflazione di fine anni 70, i cosiddetti “modelli econometrici strutturali” (SEM), sviluppati nel secondo dopoguerra a partire dai lavori della Cowles Commission (Fair, 2012), furono via via abbandonati dalla maggior parte delle banche centrali – così come dal mondo accademico cosiddetto mainstream – in favore, prima, di versioni Neo-Keynesiane del modello IS- LM microfondato e, in tempi più recenti, dei modelli dinamici di equilibrio generale stocastico (DSGE) (Hendry and Muellbauer, 2018). Nonostante il cambio di metodologia – o, a detta di alcuni, anche a causa del cambio di metodo – la performance di questi modelli “moderni”, prima nell’individuare i crescenti rischi nel settore finanziario e, in un secondo momento, nel prevedere gli impatti delle politiche di austerità, è stata a dir poco deludente, data l’assenza, nell’approccio mainstream, del credito, del sistema bancario e, più in generale, delle interazioni tra i mercati reali e finanziari. Nell’ultimo decennio, quindi, non sono mancate critiche nei confronti degli strumenti "standard" utilizzati per la valutazione delle politiche economi- che e, più in generale, per l’analisi dei sistemi economici moderni ad alta finanziarizzazione. A partire dal lavoro fondamentale di Godley (1999) e Godley e Lavoie (2007), e in particolare dopo la crisi finanziaria globale, c’è stato un crescente interesse nello sviluppo di modelli di coerenza stock-flusso (Stock-Flow Consistent). Al fianco della grande mole di elaborazioni teoriche, c’è stato in tempi recenti anche una maggiore attenzione alla costruzione di modelli empirici per interi paesi45, da utilizzare per le analisi di scenario di politica economica. Introdotti da Wynne Godley ed utilizzati dai suoi associati presso il Levy Economics Institute, nonché dalla Banca d’Inghilterra – questi modelli uniscono all’analisi post-Keynesiana del ciclo economico – dove è la domanda a determinare la crescita, nel breve come nel lungo periodo - la teoria dei portafogli di Tobin. La maggior parte di questi modelli – costruita attorno alle tavole dei Flussi dei Fondi e dei Conti Finanziari dei Settori Istituzionali – hanno la particolarità di analizzare, in modo coerente, le inter-relazioni tra i bilanci dei diversi settori e tra questi e le decisioni di risparmio ed investimento, ed hanno prodotto negli anni predizioni congiunturali più attendibili (Bezemer, 2010). Le politiche economiche però, possono avere – e di solito è questo il caso – effetti idiosincratici all’interno dello stesso paese, a causa delle disparità tra le regioni. Questo è particolarmente vero in Italia, dove le regioni meridionali – il cosiddetto Mezzogiorno – hanno sempre registrato tassi di crescita più bassi rispetto al resto del paese, ed ancor più dallo scoppio della crisi finanziaria, allargando così il già ampio divario con le regioni del Centro-Nord. Un altro utile strumento per funzionari governativi, economisti accademici e tecnici è quindi rappresentato dai modelli regionali, che vengono utilizzati per tenere traccia di come i cambiamenti delle politiche influenzano le diverse zone. Mentre esiste una vasta letteratura di modelli di equilibrio economico generale (CGE) e input-output (I-O) per l’analisi di sistemi economici regionali, non c’è ancora stato alcun tentativo di sviluppare un modello regionale di coerenza stock-flusso. In questo lavoro, svilupperemo un modello SFC per la Campania, sfruttando le statistiche regionali dei conti territoriali dell’Istat, di COEWEB (che raccoglie i dati per il commercio regionale), dei conti della PA prodotti dall’Agenzia per la Coesione Territoriale ed i dati finanziari raccolti da Bankitalia, per il periodo 1995-2017. Estenderemo il modello New Cambridge a tre settori – privato, pubblico estero – ad una struttura a sei settori (famiglie, imprese, governo locale, governo centrale, altre regioni italiane e settore estero), per meglio analizzare i diversi ruoli svolti da ciascun settore nella determinazione di domanda e produzione, investimenti e allocazione di attività e passività finanziarie. Il modello – composto da 108 variabili endogene, con otto equazioni comportamentali stimate su dati annuali per il periodo 2000-2017 – verrà quindi utilizzato per eseguire analisi di scenari di politica economica a medio termine. In particolare, simuleremo il modo in cui il sistema economico regionale reagisce all’implementazione della Zona Economica Speciale sul suo territorio, focalizzandoci sugli effetti che migliorano la crescita attraverso guadagni di produttività, performance delle esportazioni, maggiore occupazione e investimenti

Il modello macroeconomico stock-flussi della Campania e una stima dell’efficacia delle politiche

Canelli, Rosa;Realfonzo, Riccardo;Zezza, Francesco
2021-01-01

Abstract

I macroeconomisti ed i policy makers hanno bisogno di strumenti quantitativi rigorosi – ma realistici – per poter tracciare le traiettorie future e le dinamiche di alcune variabili di interesse – siano questi i consumi delle famiglie, l’indebitamento della pubblica amministrazione, il gettito fiscale o altro – così come la possibilità di definire i possibili effetti di politiche economiche o di shock esterni. I centri di ricerca, le agenzie governative e le banche centrali, tra gli altri, utilizzano in tal senso diversi modelli econometrici, a seconda del focus dell’analisi. Al cuore di tutti questi modelli si trova quasi sempre un blocco macroeconomico “standard”, che rappresenta il funzionamento aggregato del sistema fiscale. A seguito della Stagflazione di fine anni 70, i cosiddetti “modelli econometrici strutturali” (SEM), sviluppati nel secondo dopoguerra a partire dai lavori della Cowles Commission (Fair, 2012), furono via via abbandonati dalla maggior parte delle banche centrali – così come dal mondo accademico cosiddetto mainstream – in favore, prima, di versioni Neo-Keynesiane del modello IS- LM microfondato e, in tempi più recenti, dei modelli dinamici di equilibrio generale stocastico (DSGE) (Hendry and Muellbauer, 2018). Nonostante il cambio di metodologia – o, a detta di alcuni, anche a causa del cambio di metodo – la performance di questi modelli “moderni”, prima nell’individuare i crescenti rischi nel settore finanziario e, in un secondo momento, nel prevedere gli impatti delle politiche di austerità, è stata a dir poco deludente, data l’assenza, nell’approccio mainstream, del credito, del sistema bancario e, più in generale, delle interazioni tra i mercati reali e finanziari. Nell’ultimo decennio, quindi, non sono mancate critiche nei confronti degli strumenti "standard" utilizzati per la valutazione delle politiche economi- che e, più in generale, per l’analisi dei sistemi economici moderni ad alta finanziarizzazione. A partire dal lavoro fondamentale di Godley (1999) e Godley e Lavoie (2007), e in particolare dopo la crisi finanziaria globale, c’è stato un crescente interesse nello sviluppo di modelli di coerenza stock-flusso (Stock-Flow Consistent). Al fianco della grande mole di elaborazioni teoriche, c’è stato in tempi recenti anche una maggiore attenzione alla costruzione di modelli empirici per interi paesi45, da utilizzare per le analisi di scenario di politica economica. Introdotti da Wynne Godley ed utilizzati dai suoi associati presso il Levy Economics Institute, nonché dalla Banca d’Inghilterra – questi modelli uniscono all’analisi post-Keynesiana del ciclo economico – dove è la domanda a determinare la crescita, nel breve come nel lungo periodo - la teoria dei portafogli di Tobin. La maggior parte di questi modelli – costruita attorno alle tavole dei Flussi dei Fondi e dei Conti Finanziari dei Settori Istituzionali – hanno la particolarità di analizzare, in modo coerente, le inter-relazioni tra i bilanci dei diversi settori e tra questi e le decisioni di risparmio ed investimento, ed hanno prodotto negli anni predizioni congiunturali più attendibili (Bezemer, 2010). Le politiche economiche però, possono avere – e di solito è questo il caso – effetti idiosincratici all’interno dello stesso paese, a causa delle disparità tra le regioni. Questo è particolarmente vero in Italia, dove le regioni meridionali – il cosiddetto Mezzogiorno – hanno sempre registrato tassi di crescita più bassi rispetto al resto del paese, ed ancor più dallo scoppio della crisi finanziaria, allargando così il già ampio divario con le regioni del Centro-Nord. Un altro utile strumento per funzionari governativi, economisti accademici e tecnici è quindi rappresentato dai modelli regionali, che vengono utilizzati per tenere traccia di come i cambiamenti delle politiche influenzano le diverse zone. Mentre esiste una vasta letteratura di modelli di equilibrio economico generale (CGE) e input-output (I-O) per l’analisi di sistemi economici regionali, non c’è ancora stato alcun tentativo di sviluppare un modello regionale di coerenza stock-flusso. In questo lavoro, svilupperemo un modello SFC per la Campania, sfruttando le statistiche regionali dei conti territoriali dell’Istat, di COEWEB (che raccoglie i dati per il commercio regionale), dei conti della PA prodotti dall’Agenzia per la Coesione Territoriale ed i dati finanziari raccolti da Bankitalia, per il periodo 1995-2017. Estenderemo il modello New Cambridge a tre settori – privato, pubblico estero – ad una struttura a sei settori (famiglie, imprese, governo locale, governo centrale, altre regioni italiane e settore estero), per meglio analizzare i diversi ruoli svolti da ciascun settore nella determinazione di domanda e produzione, investimenti e allocazione di attività e passività finanziarie. Il modello – composto da 108 variabili endogene, con otto equazioni comportamentali stimate su dati annuali per il periodo 2000-2017 – verrà quindi utilizzato per eseguire analisi di scenari di politica economica a medio termine. In particolare, simuleremo il modo in cui il sistema economico regionale reagisce all’implementazione della Zona Economica Speciale sul suo territorio, focalizzandoci sugli effetti che migliorano la crescita attraverso guadagni di produttività, performance delle esportazioni, maggiore occupazione e investimenti
2021
978-88-6719-201-4
stock-flow consistent empirical models; special economic zones; regional economic growth; regional public policy
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12070/62922
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