La tassazione dei dipendenti che prestano la propria attività all’estero è fortemente intrecciata con la globalizzazione dei processi del mercato del lavoro. La tassazione dei redditi all’estero è incentrata su due pilastri: una politica fiscale interna più agevole, o almeno non lesiva nei confronti del dipendente, nonché l’eliminazione di ogni doppia imposizione (o doppia esenzione), in modo tale che le questioni principali sembrano essere: a) gli opportuni requisiti di raccordo con il territorio da porre alla base della tassazione nel Paese di residenza (piuttosto che nel Paese estero dove si svolge l’attività lavorativa; b) le tecniche per evitare che la sovrapposizione di due criteri fiscali possa dare luogo a fenomeni di doppia imposizione. Ciò soprattutto nell’ottica di non penalizzare il lavoro degli italiani all’estero. Dopo tutto, il fattore fiscale è un elemento decisivo nella determinazione quantitativa del salario del lavoratore. Quindi, al fine di limitare l’impatto sul dipendente dovuto all’applicazione della normativa fiscale estera e di assicurare un trattamento omogeneo, coerente e uniforme per tutti i propri dipendenti, le Società adottano politiche c.d. di “neutralità fiscale” attraverso le quali possono sostenere ed assorbire direttamente gli oneri dovuti agli aumenti fiscali nei confronti del dipendente. La tassazione del lavoro dipendente svolto all’estero finisce per riversarsi sul costo finale della produzione costituendo, dunque, un fattore potenzialmente determinante per la competitività dell’azienda italiana.

Mobilità internazionale del lavoratore dipendente e tassazione dei redditi

PAOLO PURI
2015-01-01

Abstract

La tassazione dei dipendenti che prestano la propria attività all’estero è fortemente intrecciata con la globalizzazione dei processi del mercato del lavoro. La tassazione dei redditi all’estero è incentrata su due pilastri: una politica fiscale interna più agevole, o almeno non lesiva nei confronti del dipendente, nonché l’eliminazione di ogni doppia imposizione (o doppia esenzione), in modo tale che le questioni principali sembrano essere: a) gli opportuni requisiti di raccordo con il territorio da porre alla base della tassazione nel Paese di residenza (piuttosto che nel Paese estero dove si svolge l’attività lavorativa; b) le tecniche per evitare che la sovrapposizione di due criteri fiscali possa dare luogo a fenomeni di doppia imposizione. Ciò soprattutto nell’ottica di non penalizzare il lavoro degli italiani all’estero. Dopo tutto, il fattore fiscale è un elemento decisivo nella determinazione quantitativa del salario del lavoratore. Quindi, al fine di limitare l’impatto sul dipendente dovuto all’applicazione della normativa fiscale estera e di assicurare un trattamento omogeneo, coerente e uniforme per tutti i propri dipendenti, le Società adottano politiche c.d. di “neutralità fiscale” attraverso le quali possono sostenere ed assorbire direttamente gli oneri dovuti agli aumenti fiscali nei confronti del dipendente. La tassazione del lavoro dipendente svolto all’estero finisce per riversarsi sul costo finale della produzione costituendo, dunque, un fattore potenzialmente determinante per la competitività dell’azienda italiana.
2015
reddito da lavoro dipendente, doppia imposizione, neutralità fiscale, trasferta, trasferimento, distacco, residenza, domicilio, libertà di circolazione dei lavoratori, esecuzione della prestazione, retribuzioni convenzionali, residenza fiscale, soggetti fiscalmente non residenti, A.I.R.E., base imponibile, contribuzione, imponibile contributivo, lavoro frontaliero, credito di imposta per le imposte pagate all’estero.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12070/37547
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