Oltre che nelle ipotesi in cui ritenga incomplete le investigazioni svolte dal pubblico ministero, il giudice per le indagini preliminari può non accogliere la richiesta di archiviazione anche quando consideri non correttamente applicata la regola di giudizio di cui all’art. 125 att. c.p.p., essendo stati raccolti, a suo parere, elementi sufficienti a sostenere l’accusa in dibattimento. In questo caso, il giudice dispone con ordinanza che, entro dieci giorni, il pubblico ministero formuli l’imputazione e nei due giorni successivi all’esercizio “coatto” dell’azione penale fissa l’udienza preliminare con un decreto che va notificato all’imputato ed alla persona offesa, nel quale sono enunciati gli elementi previsti dall’art. 417 comma 1 lett. a), b) e c), c.p.p. Il comma 5 dell’art. 409 c.p.p. è stato introdotto al precipuo scopo di evitare un fenomeno di stasi del procedimento nell’ipotesi di dissenso tra pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari in ordine alla richiesta di archiviazione presentata dal primo e che, «ove non espressamente disciplinata, condurrebbe, in casi del genere, alla configurazione dell’archiviazione come atto dovuto». Non è mancato, tuttavia, chi ha ritenuto l’ordinanza di formulazione dell’imputazione un «vero e proprio esercizio dell’azione penale da parte del giudice per le indagini preliminari». Sicché, la persistente inazione del pubblico ministero rispetto all’ordinanza adottata ex art. 409 comma 5 c.p.p. integrerebbe l’ipotesi criminosa di omissione di atti d’ufficio disciplinata dall’art. 328 c.p. Si tratterebbe, insomma, di un atto d’impulso ex officio all’esercizio dell’azione, capace di introdurre, in virtù del controllo sull’osservanza dell’obbligatorietà dell’azione penale, una deroga al principio del ne procedat iudex ex officio. L’indirizzo non tiene conto, però, di come la disposizione in oggetto concretizzi lo sforzo del legislatore di impedire una commistione tra le funzioni del giudice per le indagini preliminari e «la prerogativa primaria del pubblico ministero» inerente la individuazione del thema decidendum. Invero, se l’alternanza tra indagini preliminari e giudizio è scandita dalla formulazione dell’imputazione, tale atto risulterà obbligatorio se la notizia criminis appare fondata in ordine ad un fatto che costituisce offesa ad uno dei valori significativamente protetti dall’ordinamento penale: l’azione si connota di caratteri di concretezza in rapporto al fatto ed in relazione ad una realistica prognosi di condanna. In tal senso, l’obbligatorietà dell’azione penale rappresenta l’espressione processuale del principio di legalità (art. 25 e 112 Cost.) dal quale riceve i connotati di concretezza e la caratteristica di atto propulsivo della giurisdizione; azione e controllo giurisdizionale, dunque, diventano due facce della stessa medaglia in funzione di garanzia. Sicché, in assenza di una prognosi di idoneità delle attività di sostegno dell’accusa, la obbligatorietà risulta soddisfatta dal controllo giurisdizionale sull’inerzia del pubblico ministero. E così, nel caso dell’art. 408 c.p.p. il giudice valuta la corrispondenza della situazione “probatoria” ad una prognosi di infondatezza dell’accusa, che può correggere con i poteri conferitigli dai commi 4 e 5 dell’art. 409 c.p.p. A partire dal 1988, il recupero del contenuto dell’azione (cioè: intesa in senso concreto) consente una più significativa lettura dell’art. 112 Cost. e la valorizzazione in esso degli elementi di legalità prima sottovalutati. Esalta, cioè, la regola della inutilità del processo come fenomeno deflativo collegato al rispetto della persona e come valore pregnante che guida (dovrebbe guidare) i comportamenti del pubblico ministero nella scelta tra azione ed “inerzia”, proiettandosi sulla valutazione che il giudice effettua in ordine alla richiesta di archiviazione, dal momento che può respingere la domanda del pubblico ministero, obbligando quest’ultimo all’azione (art. 409 c.p.p.). In questa chiave, il ricorso alla giurisdizione per il controllo sulla inazione del pubblico ministero è garanzia di equidistanza dagli interessi in gioco. Tra le possibili soluzioni adottabili — quella di lasciare libero il singolo magistrato e/o ufficio di archiviare; quella gerarchica oppure quella del ricorso alla giurisdizione — si è preferita quest’ultima perché più aderente al complessivo disegno costituzionale. Sicché, è sterile domandarsi se nel caso dell’art. 409 comma 5 c.p.p. vi sia violazione del “ne procedat”; è inutile e fuorviante perché comunque la formulazione dell’imputazione — e quindi l’azione — rimane nella gestione dell’organo di accusa (anche in caso di ricorso alle situazioni previste dall’art. 412 c.p.p.); così come il giudice per le indagini preliminari non assume mai funzione integrativa di organo dell’investigazione.
PM e GIP: se scatta l’imputazione coatta. Ecco tutti i nodi dell’udienza preliminare. I problemi posti dalla riforma del giudice unico di primo grado
GRIFFO M
2006-01-01
Abstract
Oltre che nelle ipotesi in cui ritenga incomplete le investigazioni svolte dal pubblico ministero, il giudice per le indagini preliminari può non accogliere la richiesta di archiviazione anche quando consideri non correttamente applicata la regola di giudizio di cui all’art. 125 att. c.p.p., essendo stati raccolti, a suo parere, elementi sufficienti a sostenere l’accusa in dibattimento. In questo caso, il giudice dispone con ordinanza che, entro dieci giorni, il pubblico ministero formuli l’imputazione e nei due giorni successivi all’esercizio “coatto” dell’azione penale fissa l’udienza preliminare con un decreto che va notificato all’imputato ed alla persona offesa, nel quale sono enunciati gli elementi previsti dall’art. 417 comma 1 lett. a), b) e c), c.p.p. Il comma 5 dell’art. 409 c.p.p. è stato introdotto al precipuo scopo di evitare un fenomeno di stasi del procedimento nell’ipotesi di dissenso tra pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari in ordine alla richiesta di archiviazione presentata dal primo e che, «ove non espressamente disciplinata, condurrebbe, in casi del genere, alla configurazione dell’archiviazione come atto dovuto». Non è mancato, tuttavia, chi ha ritenuto l’ordinanza di formulazione dell’imputazione un «vero e proprio esercizio dell’azione penale da parte del giudice per le indagini preliminari». Sicché, la persistente inazione del pubblico ministero rispetto all’ordinanza adottata ex art. 409 comma 5 c.p.p. integrerebbe l’ipotesi criminosa di omissione di atti d’ufficio disciplinata dall’art. 328 c.p. Si tratterebbe, insomma, di un atto d’impulso ex officio all’esercizio dell’azione, capace di introdurre, in virtù del controllo sull’osservanza dell’obbligatorietà dell’azione penale, una deroga al principio del ne procedat iudex ex officio. L’indirizzo non tiene conto, però, di come la disposizione in oggetto concretizzi lo sforzo del legislatore di impedire una commistione tra le funzioni del giudice per le indagini preliminari e «la prerogativa primaria del pubblico ministero» inerente la individuazione del thema decidendum. Invero, se l’alternanza tra indagini preliminari e giudizio è scandita dalla formulazione dell’imputazione, tale atto risulterà obbligatorio se la notizia criminis appare fondata in ordine ad un fatto che costituisce offesa ad uno dei valori significativamente protetti dall’ordinamento penale: l’azione si connota di caratteri di concretezza in rapporto al fatto ed in relazione ad una realistica prognosi di condanna. In tal senso, l’obbligatorietà dell’azione penale rappresenta l’espressione processuale del principio di legalità (art. 25 e 112 Cost.) dal quale riceve i connotati di concretezza e la caratteristica di atto propulsivo della giurisdizione; azione e controllo giurisdizionale, dunque, diventano due facce della stessa medaglia in funzione di garanzia. Sicché, in assenza di una prognosi di idoneità delle attività di sostegno dell’accusa, la obbligatorietà risulta soddisfatta dal controllo giurisdizionale sull’inerzia del pubblico ministero. E così, nel caso dell’art. 408 c.p.p. il giudice valuta la corrispondenza della situazione “probatoria” ad una prognosi di infondatezza dell’accusa, che può correggere con i poteri conferitigli dai commi 4 e 5 dell’art. 409 c.p.p. A partire dal 1988, il recupero del contenuto dell’azione (cioè: intesa in senso concreto) consente una più significativa lettura dell’art. 112 Cost. e la valorizzazione in esso degli elementi di legalità prima sottovalutati. Esalta, cioè, la regola della inutilità del processo come fenomeno deflativo collegato al rispetto della persona e come valore pregnante che guida (dovrebbe guidare) i comportamenti del pubblico ministero nella scelta tra azione ed “inerzia”, proiettandosi sulla valutazione che il giudice effettua in ordine alla richiesta di archiviazione, dal momento che può respingere la domanda del pubblico ministero, obbligando quest’ultimo all’azione (art. 409 c.p.p.). In questa chiave, il ricorso alla giurisdizione per il controllo sulla inazione del pubblico ministero è garanzia di equidistanza dagli interessi in gioco. Tra le possibili soluzioni adottabili — quella di lasciare libero il singolo magistrato e/o ufficio di archiviare; quella gerarchica oppure quella del ricorso alla giurisdizione — si è preferita quest’ultima perché più aderente al complessivo disegno costituzionale. Sicché, è sterile domandarsi se nel caso dell’art. 409 comma 5 c.p.p. vi sia violazione del “ne procedat”; è inutile e fuorviante perché comunque la formulazione dell’imputazione — e quindi l’azione — rimane nella gestione dell’organo di accusa (anche in caso di ricorso alle situazioni previste dall’art. 412 c.p.p.); così come il giudice per le indagini preliminari non assume mai funzione integrativa di organo dell’investigazione.File | Dimensione | Formato | |
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