Il doppio binario tracciato dal codice di rito del 1988 tra prerogative del Tribunale collegiale e disposizioni dettate per il Tribunale in composizione monocratica riceve particolare enfasi rispetto alle vicende instaurative del giudizio direttissimo.Non sfuggirà, infatti, che le particolarità del rito e, soprattutto, della gestione degli uffici delle sezioni distaccate dei Tribunali-capoluogo suscitano non poche difficoltà nella attuazione delle previsioni codicistiche dedicate al tema.Sullo sfondo, tuttavia, resta la problematica della sanzione riconducibile alla errata istaurazione del rito la quale, scissa da qualsivoglia individuazione codicistica, lascia all’interprete la individuazione dei percorsi di rimozione del vizio.Ora, l’introdotta flessibilità nella ripartizione delle sfere cognitive tra l’organo collegiale e quello monocratico consente la messa in opera di espedienti organizzativi capaci di colmare le falle provocate dalla laconicità dell’ordito normativo.E’ chiaro, infatti, che per elidere i perniciosi effetti connessi alla possibilità, per il pubblico ministero, di «scegliersi» il giudice, basterebbe garantire la presenza costante di un organo collegiale e di uno monocratico, specificamente deputati alla celebrazione dei giudizi direttissimi. In pratica, per massimizzare il meccanismo vigente sarebbe sufficiente predisporre sezioni apposite le quali, in riferimento ad un lasso temporale prestabilito, assicurino una copertura «imparziale» per tali riti semplificati.In tal modo, al pubblico ministero non sarebbe concesso di scegliersi il giudice alla bisogna, dovendosi limitare soltanto ad individuare la data dell’udienza.Sotto tale profilo, la celebrazione dei riti direttissimi presso il tribunale ordinario — centrale — anziché presso le sezioni distaccate in tanto è resa possibile in quanto la «competenza» del primo ricomprenderà e non sarà alternativa rispetto alle «attribuzioni» delle seconde. Ed è proprio il criterio distributivo della cognizione degli affari penali tra «monocratico» e «collegiale» a rendere elastica la ripartizione dei compiti in un contesto regolamentare dal carattere assolutamente organizzativo.Il criterio che ispira le regole di riparto tra le due articolazioni, infatti, travalica le categorie della «competenza», rifacendosi a canoni meno inflessibili e maggiormente adusi ad agevolare una «fungibilità funzionale», soltanto vagheggiata sotto l’egemonia degli schemi previgenti.Si evita, così, l’irragionevolezza di una previsione pretermessa, poco comprensibilmente, dal contesto delle norme dedicate al «collegiale» e si riducono al minimo i casi in cui il pubblico ministerò sarà onerato a richiedere la fissazione dell’udienza.Il margine di facoltatività riconosciuto dalla norma viene allora ricacciato all’interno di confini sempre più angusti dal momento in cui le novellate strutture codicistiche autorizzano l’adozione di accorgimenti organizzativi capaci di soddisfare, di per sé soli, istanze di certezza e di imparzialità.E’ il valore del giudice imparziale che in tal modo viene salvaguardato nella maniera meno traumatica possibile e cioè limitando al minimo i rischi connessi all’operatività di prassi perniciose per l’intera tenuta del sistema.

Dal pretore al giudice monocratico: una particolare modalità di instaurazione del giudizio direttissimo

GRIFFO M.
2005-01-01

Abstract

Il doppio binario tracciato dal codice di rito del 1988 tra prerogative del Tribunale collegiale e disposizioni dettate per il Tribunale in composizione monocratica riceve particolare enfasi rispetto alle vicende instaurative del giudizio direttissimo.Non sfuggirà, infatti, che le particolarità del rito e, soprattutto, della gestione degli uffici delle sezioni distaccate dei Tribunali-capoluogo suscitano non poche difficoltà nella attuazione delle previsioni codicistiche dedicate al tema.Sullo sfondo, tuttavia, resta la problematica della sanzione riconducibile alla errata istaurazione del rito la quale, scissa da qualsivoglia individuazione codicistica, lascia all’interprete la individuazione dei percorsi di rimozione del vizio.Ora, l’introdotta flessibilità nella ripartizione delle sfere cognitive tra l’organo collegiale e quello monocratico consente la messa in opera di espedienti organizzativi capaci di colmare le falle provocate dalla laconicità dell’ordito normativo.E’ chiaro, infatti, che per elidere i perniciosi effetti connessi alla possibilità, per il pubblico ministero, di «scegliersi» il giudice, basterebbe garantire la presenza costante di un organo collegiale e di uno monocratico, specificamente deputati alla celebrazione dei giudizi direttissimi. In pratica, per massimizzare il meccanismo vigente sarebbe sufficiente predisporre sezioni apposite le quali, in riferimento ad un lasso temporale prestabilito, assicurino una copertura «imparziale» per tali riti semplificati.In tal modo, al pubblico ministero non sarebbe concesso di scegliersi il giudice alla bisogna, dovendosi limitare soltanto ad individuare la data dell’udienza.Sotto tale profilo, la celebrazione dei riti direttissimi presso il tribunale ordinario — centrale — anziché presso le sezioni distaccate in tanto è resa possibile in quanto la «competenza» del primo ricomprenderà e non sarà alternativa rispetto alle «attribuzioni» delle seconde. Ed è proprio il criterio distributivo della cognizione degli affari penali tra «monocratico» e «collegiale» a rendere elastica la ripartizione dei compiti in un contesto regolamentare dal carattere assolutamente organizzativo.Il criterio che ispira le regole di riparto tra le due articolazioni, infatti, travalica le categorie della «competenza», rifacendosi a canoni meno inflessibili e maggiormente adusi ad agevolare una «fungibilità funzionale», soltanto vagheggiata sotto l’egemonia degli schemi previgenti.Si evita, così, l’irragionevolezza di una previsione pretermessa, poco comprensibilmente, dal contesto delle norme dedicate al «collegiale» e si riducono al minimo i casi in cui il pubblico ministerò sarà onerato a richiedere la fissazione dell’udienza.Il margine di facoltatività riconosciuto dalla norma viene allora ricacciato all’interno di confini sempre più angusti dal momento in cui le novellate strutture codicistiche autorizzano l’adozione di accorgimenti organizzativi capaci di soddisfare, di per sé soli, istanze di certezza e di imparzialità.E’ il valore del giudice imparziale che in tal modo viene salvaguardato nella maniera meno traumatica possibile e cioè limitando al minimo i rischi connessi all’operatività di prassi perniciose per l’intera tenuta del sistema.
2005
pretore; giudice monocratico; giudizio direttissimo
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12070/2655
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