L’impiego dei risultati captativi in procedimenti diversi si pone in rapporto diretto con i limiti alla libertà di comunicazione costituzionalmente previsti; ancor più, la problematicità dell’istituto discende dalla esatta delimitazione da attribuirsi al concetto di “procedimento diverso”. Sotto tale profilo, non si è potuto fare a meno di scandagliare i limiti di operatività all’impiego delle captazioni in “procedimenti diversi” rispetto al più generale tema della connessione tra le imputazioni. E’ arduo, infatti, discorrere di “procedimento diverso” nel caso in cui le imputazioni cono legate da vincolo connettivo, di modo che si tratti di “fatto processuale” unico. Così, i limiti di ammissibilità fissati dall’art. 266 c.p.p. assumerebbero rilievo in un momento genetico nel senso di imporre, al giudice per le indagini preliminari, allorché autorizzi il pubblico ministero ad eseguire l’intercettazione telefonica, di valutare se il reato per cui quest’ultimo stia procedendo rientri tra quelli per i quali l’intercettazione sia consentita. I risultati delle intercettazioni telefoniche, per tale via, sarebbero legittimamente utilizzabili come prova per il procedimento nella sua interezza non sussistendo motivi ragionevoli per consentirne una fruizione parziale, limitata cioè ad alcuni soltanto dei reati emersi all’esito dell’attività di indagine. Se la soluzione prospettata dalla giurisprudenza di legittimità non sembra meritevole di avallo, la decisione di merito oggetto di commento, pur condivisibile negli epiloghi, non si fa apprezzare per l’iter argomentativo posto a base dell’interpretazione della previsione codicistica censurata di incostituzionalità. Non è errato sostenere che, allorquando le intercettazioni siano state autorizzate per un reato rientrante nel novero dei reati di cui all’art. 266 c.p.p., le stesse potranno essere utilizzate anche in procedimenti connessi o collegati, tuttavia, appare non immune da censure l’argomento principale addotto a sostegno della tesi. Sembra capzioso, infatti, circoscrivere i limiti di ammissibilità, ex art. 266 c.p.p., alla genesi dell’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari; così che nella fase dinamico-funzionale i risultati delle intercettazioni potranno essere utilizzati come prova per il procedimento nella sua interezza, non ostandovi motivi che ne consentano una fruizione parziale, limitata cioè ad alcuni soltanto dei reati emersi nel corso dell’attività di indagine. Un simile assunto si esporrebbe alla censura del deficit motivazionale.

Sui limiti di utilizzabilità dei risultati di intercettazioni in "procedimenti diversi"

GRIFFO M
2005-01-01

Abstract

L’impiego dei risultati captativi in procedimenti diversi si pone in rapporto diretto con i limiti alla libertà di comunicazione costituzionalmente previsti; ancor più, la problematicità dell’istituto discende dalla esatta delimitazione da attribuirsi al concetto di “procedimento diverso”. Sotto tale profilo, non si è potuto fare a meno di scandagliare i limiti di operatività all’impiego delle captazioni in “procedimenti diversi” rispetto al più generale tema della connessione tra le imputazioni. E’ arduo, infatti, discorrere di “procedimento diverso” nel caso in cui le imputazioni cono legate da vincolo connettivo, di modo che si tratti di “fatto processuale” unico. Così, i limiti di ammissibilità fissati dall’art. 266 c.p.p. assumerebbero rilievo in un momento genetico nel senso di imporre, al giudice per le indagini preliminari, allorché autorizzi il pubblico ministero ad eseguire l’intercettazione telefonica, di valutare se il reato per cui quest’ultimo stia procedendo rientri tra quelli per i quali l’intercettazione sia consentita. I risultati delle intercettazioni telefoniche, per tale via, sarebbero legittimamente utilizzabili come prova per il procedimento nella sua interezza non sussistendo motivi ragionevoli per consentirne una fruizione parziale, limitata cioè ad alcuni soltanto dei reati emersi all’esito dell’attività di indagine. Se la soluzione prospettata dalla giurisprudenza di legittimità non sembra meritevole di avallo, la decisione di merito oggetto di commento, pur condivisibile negli epiloghi, non si fa apprezzare per l’iter argomentativo posto a base dell’interpretazione della previsione codicistica censurata di incostituzionalità. Non è errato sostenere che, allorquando le intercettazioni siano state autorizzate per un reato rientrante nel novero dei reati di cui all’art. 266 c.p.p., le stesse potranno essere utilizzate anche in procedimenti connessi o collegati, tuttavia, appare non immune da censure l’argomento principale addotto a sostegno della tesi. Sembra capzioso, infatti, circoscrivere i limiti di ammissibilità, ex art. 266 c.p.p., alla genesi dell’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari; così che nella fase dinamico-funzionale i risultati delle intercettazioni potranno essere utilizzati come prova per il procedimento nella sua interezza, non ostandovi motivi che ne consentano una fruizione parziale, limitata cioè ad alcuni soltanto dei reati emersi nel corso dell’attività di indagine. Un simile assunto si esporrebbe alla censura del deficit motivazionale.
2005
art. 270 cpp; intercettazioni; intercettazioni e procedimenti diversi
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
3- Art. 270 cpp.pdf

non disponibili

Licenza: Non specificato
Dimensione 1.66 MB
Formato Adobe PDF
1.66 MB Adobe PDF   Visualizza/Apri   Richiedi una copia

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12070/2653
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact