Nel gennaio del 1888, con una legge proposta e fortemente voluta dal ministro Guardasigilli Giuseppe Zanardelli, venivano aboliti definitivamente i tribunali di commercio. Introdotti in Italia con le riforme napoleoniche per affidare loro - in qualità di tribunali speciali composti principalmente di soli giudici negozianti nominati dal governo su designazione delle Camere di Commercio e con incarico gratuito - la risoluzione delle controversie tra mercanti o ad oggetto “atti di commercio”, essi potevano applicare una procedura più snella, rapida, nonché meno costosa, rispetto a quella in uso nei tribunali ordinari. La legge del Ministro Zanardelli avrebbe dovuto e potuto porre fine ad un dibattito nel quale si incrociavano da decenni istanze e proposte sulle caratteristiche che ci si aspettava da un’efficace amministrazione della giustizia nei traffici commerciali, e che affondava le sue radici molto più lontano di quanto i suoi cinque scarni articoli consentano di percepire. Riuscì nell’intento? Rispose, in una direzione o in un’altra, a quel dibattito? Ciò che si cercherà di mostrare in queste pagine è che non fu così, e che, in qualche modo, la legge n. 5174 del 23 gennaio del 1888 fu per l’Italia un’importante “occasione mancata”. Essa si preoccupò solo dell’aspetto “politicamente” più sensibile, ovvero l’esistenza dei tribunali di commercio e l’affidamento di un ramo importante della giurisdizione per lo più a negozianti e non a giudici di professione. Si limitò ad abolirli, trasferendone il contenzioso presso i tribunali ordinari, ma trascurò di affrontare nodi ben più complessi e delicati, come quello relativo alla reale portata della distinzione tra cause di diritto civile e cause di diritto commerciale - che rimase intatta insieme alla duplicazione dei codici, sebbene fossero da quel momento tutte rimesse alla decisione di giudici togati, e che troverà spazio solo nell’unificazione del diritto privato operata con il codice civile del 1942. Tra i temi trascurati dalla legge Zanardelli, sebbene affrontati per decenni e con significativa partecipazione nelle riflessioni sulla giurisdizione commerciale, in questa sede si è scelto di approfondire – per le varie implicazioni di coerenza e di efficacia – quello relativo all’elaborazione di una più efficace procedura in grado di conciliare adeguatamente garanzie processuali e sufficiente ponderazione con le istanze di rapidità e flessibilità, da sempre sentite come necessarie nella risoluzione delle controversie commerciali. Una procedura, quella auspicata nel corso di tutto il dibattito che precedette la legge, che fosse finalmente all’interno di un disegno organico e complessivo capace di tenere conto delle esigenze di tutti i cittadini, tutti oramai coinvolti in un sistema di relazioni economiche e commerciali sempre più aperto a continue osmosi tra le diverse categorie di interessi. Anche in questo caso si dovette attendere ben oltre la legge del 1888, e le tante richieste di riforma della procedura cui erano affidate le cause per “atti di commercio” trovarono una prima compiuta espressione solo nella riforma generale del rito sommario avutasi con la legge del 31 marzo 1901. L’articolo mira, come si è detto, a condurre un’analisi del dibattito ottocentesco, nel tentativo di mettere in luce alcune delle complesse istanze che vi emersero - tra le quali la dialettica giudice togato/giudice negoziante rappresentava il tema più delicato ma non necessariamente l’unico - nonché la suggestiva attualità di quelle diagnosi e delle relative proposte che a ben vedere possono superare, per l’interesse che ancora destano, anche l’orizzonte di quella unificazione del diritto privato e del perfezionamento della procedura sommaria, che pure contribuirono a determinare. Dopo aver descritto i tratti essenziali del dibattito sulla giurisdizione commerciale, iniziato all’indomani della caduta di Napoleone, e indicato i suoi protagonisti, si è proceduto a tracciare le diverse fasi in cui si sono inseriti alcuni progetti e proposte di abolizione dei tribunali di commercio a partire dai primi anni dall’unificazione politica della penisola facendo riferimento soprattutto alle istanze di riforma della procedura e con una particolare attenzione alle reazioni che tali tentativi suscitarono negli ambienti coinvolti. Ci si è soffermati, infine, sulla formazione della legge Zanardelli del 1888 e su come con questa si decise di non affrontare le problematiche relative alla procedura, e sulle sue conseguenti difficoltà interpretative ed applicative, così come rilevate in dottrina e sintetizzate nelle posizioni espresse da Lodovico Mortara ed Ercole Vidari.

Abolire o riformare ? Procedura e giurisdizione commerciale nell’Italia postunitaria

CIANCIO C
2010-01-01

Abstract

Nel gennaio del 1888, con una legge proposta e fortemente voluta dal ministro Guardasigilli Giuseppe Zanardelli, venivano aboliti definitivamente i tribunali di commercio. Introdotti in Italia con le riforme napoleoniche per affidare loro - in qualità di tribunali speciali composti principalmente di soli giudici negozianti nominati dal governo su designazione delle Camere di Commercio e con incarico gratuito - la risoluzione delle controversie tra mercanti o ad oggetto “atti di commercio”, essi potevano applicare una procedura più snella, rapida, nonché meno costosa, rispetto a quella in uso nei tribunali ordinari. La legge del Ministro Zanardelli avrebbe dovuto e potuto porre fine ad un dibattito nel quale si incrociavano da decenni istanze e proposte sulle caratteristiche che ci si aspettava da un’efficace amministrazione della giustizia nei traffici commerciali, e che affondava le sue radici molto più lontano di quanto i suoi cinque scarni articoli consentano di percepire. Riuscì nell’intento? Rispose, in una direzione o in un’altra, a quel dibattito? Ciò che si cercherà di mostrare in queste pagine è che non fu così, e che, in qualche modo, la legge n. 5174 del 23 gennaio del 1888 fu per l’Italia un’importante “occasione mancata”. Essa si preoccupò solo dell’aspetto “politicamente” più sensibile, ovvero l’esistenza dei tribunali di commercio e l’affidamento di un ramo importante della giurisdizione per lo più a negozianti e non a giudici di professione. Si limitò ad abolirli, trasferendone il contenzioso presso i tribunali ordinari, ma trascurò di affrontare nodi ben più complessi e delicati, come quello relativo alla reale portata della distinzione tra cause di diritto civile e cause di diritto commerciale - che rimase intatta insieme alla duplicazione dei codici, sebbene fossero da quel momento tutte rimesse alla decisione di giudici togati, e che troverà spazio solo nell’unificazione del diritto privato operata con il codice civile del 1942. Tra i temi trascurati dalla legge Zanardelli, sebbene affrontati per decenni e con significativa partecipazione nelle riflessioni sulla giurisdizione commerciale, in questa sede si è scelto di approfondire – per le varie implicazioni di coerenza e di efficacia – quello relativo all’elaborazione di una più efficace procedura in grado di conciliare adeguatamente garanzie processuali e sufficiente ponderazione con le istanze di rapidità e flessibilità, da sempre sentite come necessarie nella risoluzione delle controversie commerciali. Una procedura, quella auspicata nel corso di tutto il dibattito che precedette la legge, che fosse finalmente all’interno di un disegno organico e complessivo capace di tenere conto delle esigenze di tutti i cittadini, tutti oramai coinvolti in un sistema di relazioni economiche e commerciali sempre più aperto a continue osmosi tra le diverse categorie di interessi. Anche in questo caso si dovette attendere ben oltre la legge del 1888, e le tante richieste di riforma della procedura cui erano affidate le cause per “atti di commercio” trovarono una prima compiuta espressione solo nella riforma generale del rito sommario avutasi con la legge del 31 marzo 1901. L’articolo mira, come si è detto, a condurre un’analisi del dibattito ottocentesco, nel tentativo di mettere in luce alcune delle complesse istanze che vi emersero - tra le quali la dialettica giudice togato/giudice negoziante rappresentava il tema più delicato ma non necessariamente l’unico - nonché la suggestiva attualità di quelle diagnosi e delle relative proposte che a ben vedere possono superare, per l’interesse che ancora destano, anche l’orizzonte di quella unificazione del diritto privato e del perfezionamento della procedura sommaria, che pure contribuirono a determinare. Dopo aver descritto i tratti essenziali del dibattito sulla giurisdizione commerciale, iniziato all’indomani della caduta di Napoleone, e indicato i suoi protagonisti, si è proceduto a tracciare le diverse fasi in cui si sono inseriti alcuni progetti e proposte di abolizione dei tribunali di commercio a partire dai primi anni dall’unificazione politica della penisola facendo riferimento soprattutto alle istanze di riforma della procedura e con una particolare attenzione alle reazioni che tali tentativi suscitarono negli ambienti coinvolti. Ci si è soffermati, infine, sulla formazione della legge Zanardelli del 1888 e su come con questa si decise di non affrontare le problematiche relative alla procedura, e sulle sue conseguenti difficoltà interpretative ed applicative, così come rilevate in dottrina e sintetizzate nelle posizioni espresse da Lodovico Mortara ed Ercole Vidari.
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