La dottrina tradizionale ha sempre inquadrato le letture dibattimentali nella filosofia della immediatezza ed ha sempre attribuito a questo complesso istituto processuale il consequenziale effetto di rendere inoperoso il principio di oralità della prova. Anzi, proprio alla "prova per lettura" si e' attribuita la forza di rendere riconoscibile il sistema processuale, essendo essa la regola nel processo Rocco - e, più in generale nel sistema inquisitorio - al punto da costituire un punto di forza nella rappresentazione della opposta filosofia accusatoria, che, si dice, appunto, sarebbe connotata dalla immediatezza e dalla oralità, auspicando, perciò, il passaggio dal " dibattimento sulla prova" al " dibattimento per la prova".Il lettore sa che gli slogan ora riferiti si addicono soprattutto al "contraddittorio" , questo, si, elemento qualificante del sistema nella letteratura maggioritaria; ma egli sa, anche, che di solito la dottrina processualpenalistica si e' attardata nella spiegazione della unita' indissolubile delle tre "caratterizzazioni" della prova, tranne poi a dividersi quando la "peculiarità" e' riferita al processo non alle modalità acquisitive dello specifico elemento di prova.Per capire bene la vicenda e, soprattutto, la sua dimensione sistemica, ho sempre cercato di ricordare i Manuali del tempo in cui ero studente universitario; anzi li ho sempre consultati - e li consulto ancora -, quali fonti inesauribili della capacita' di organizzare la conseguenzialita' della scienza processualistica e della circolarita' argomentativa con cui i loro illustri Autori si attardavano anche sulla semantica dei concetti, senza tralasciare i profili dogmatici della vicendaL' abitudine oggi e' persa, perché la "quantità" delle "discipline " codicistiche sembra aver messo in disparte le "curiosità" ontologiche di questo o di quello istituto, preferendo - necessariamente, oggi; ma non e' da tutti, come si dice -; privilegiando cenni a "detti" giurisprudenziali, certamente più utili in un mondo nel quale le molte cause della debolezza della Scienza giuridica inducono ad indulgere sui significati giurisprudenziali delle situazioni giuridiche. Dicevo: nel particolare, per capire bene la vicenda ricorro ai vecchi Manuali per cogliere il senso della rappresentazione "a specchio" con cui quei Maestri mostravano le caratteristiche dei sistemi processuali, talvolta con singolare maestria editoriale, al punto che si trovavano difronte le pagine nelle quali erano rispettivamente elencati i caratteri dell'uno e/o dell' altro sistema. Dal confronto si coglie, sul piano culturale, la scarsa novità del discorso, giacche' ancora si insiste sulle differenze strutturali dei due sistemi; ancora oggi si dice che il sistema accusatorio contrappone la prova "orale" a quella "scritta" dell' opposto sistema inquisitorio, senza alcun approfondimento sulle relazioni tra filosofie e strutture, che - in ben altro modo - condizionano i rapporti tra logica del sistema, modello processuale e strutture disciplinaridel singolo settore. Soprattutto resta nell'ombra la diversa qualità del "processo scritto" rispetto a quello "orale" e che questo organizza diritti, poteri, oneri e facoltà processuali in tutt' altra maniera, essendo questa la materia denominata "Procedura penale" e quelli i suoi oggetti relativi alla tutela delle situazioni soggettive protette, non alla descrizione di mere attività del processo, si accontenta di definizioni nozionistiche più o meno ripetitive del contenuto delle norme processuali.Fortunatamente molti Autori contemporanei avvertono la insoddisfazione di una materia insegnata per mere definizioni e che quindi ignora le argomentazioni con cui legislatore, dottrina e giurisprudenza regolano i poteri di immissione dei soggetti pubblici del processo nelle libertà fondamentali della persona, metodo a cui non fa da velo la "quantità" della materia, risultando sufficienti - e certamente più utili - indicazioni di metodo non sterili elencazioni definitorie.Il "processo orale", insomma, non e' solo un struttura che regola l' iter delle attività orientate ad una decisione giudiziale su un fatto che costituisce reato commesso da un soggetto il cui status deve passare da imputato ad assolto o condannato; il sistema accusatorio e' la premessa filosofica per la organizzazione della giurisdizione penale in uno Stato democratico e come tale si contrappone alle premesse logiche della organizzazione del processo di uno stato autoritario. Insomma, Il sistema accusatorio e' la raccolta razionale dei modi di tutela della persona nel processo, laddove quello inquisitorio e' la somma degli strumenti anche illiberali per la difesa dello stato. Dunque, la contrapposizione sistemica e' tra "processo orale" e "processo scritto".Il lettore disattento dirà che,oltre a gratuite esagerazioni e ad inopportune generalizzazioni, sono decisamente fuori dal seminato. Forse e' così. Forse in astratto ha ragione, se tutto ciò non facesse da sfondo al lavoro che presento, la cui genesi, appunto, si interrogava sui profili strutturali della materia, rappresentando, le letture, palesi deroghe al principio di immediatezza e di oralità, secondo il consueto modo con cui la letteratura, anche contemporanea, si interessa dell'argomento. Solo che, in questa dimensione, il problema resta immutato, fermo sulla definizione derogatoria di quella forma di acquisizione degli elementi si prova rispetto al sistema che la ospita, senza rivelarne il perché, senza descriverne l'oggetto, soprattutto senza comprenderne fondamento, coerenza e compatibilità con la ideologia accusatoria, la cui carenza comporta l' allocazione di quegli oggetti nella ripetuta natura "mista" del processo attualmente in vigore, a cui si attribuisce - ma, in modo acritico - il persistente ricorso a strumenti di permanente irrazionalità inquisitoria. Si liquidano, così, nodi centrali della moderna dogmatica processualistica, rinunziando a comprendere la funzione del sistema-processo in uno Stato democratico ed i modi con cui esso raggiunge il suo scopo.Oggi, poi, in questa materia sembrano campeggiare al centro di ogni ragionamento due domande ritenute essenziali: perché il legislatore Costituente di fine millennio non abbia richiamato le due caratteristiche fondamentali del processo accusatorio: appunto, immediatezza e oralità; secondo e di conseguenza, se il termine "contraddittorio" che compare nel comma quattro del nuovo art. 111 Cost. deve essere ritenuto ancora inclusivo di quei caratteri, dando così seguito alla risalente dottrina che in quel vocabolo sintetizza una monade onnivora dei tre elementi accusatori. E già qui i primi intoppi. Se fosse così, il vulnus a immediatezza e oralità comporterebbe eguali giudizi di legittimità dei vizi del contraddittorio; se fosse così le norme su cui speculare in termini di legittimità non sarebbero solo quelle relative alle letture; se fosse così acquisterebbe valore costituzionale il principio di concentrazione, non potendosi negare che la immediatezza realizza la sua funzione di "memoria della fonte di prova" proprio attraverso quella via; e spero che, per altri, immediatezza non esprima diverso significato.Ma, se fosse così, la disposizione costituzionale ritenuta indispensabile a raccogliere e rappresentare a quel livello le regole per la giurisdizione avrebbe più limitata forza innovativa, peraltro rendendo criptico ed equivoco il rapporto tra comma 4 e comma 5, che, viceversa, ne manifestano le più rilevanti novità, anche sul terreno culturale.Su questi interrogativi e, soprattutto, sulla storia che ha prodotto l' ora richiamata novità statutaria e sulla filosofia che ha guidato il Costituente proprio rispetto agli oggetti ora evocati; ancora: approfittando della dialettica, talvolta anche accesa, che l'Autore ha intrattenuto con chi ha responsabilità formativa delle nuove generazioni di docenti; infine: recependo l' insegnamento sull' intimo intreccio dei principi fondamentali del processo democratico, tra i quali non può mancare quello utilitaristico inteso - non solo in termini di economia processuale ma - quale valore per il raggiungimento del fine della giurisdizione ed oggi dettato proprio nel quinto comma della nuova disposiIone costituzionale; insomma: raccogliendo queste esperienze dialettiche, l' Autore ha radicalmente modificato il punto di osservazione, orientandolo verso la "non dispersione degli elementi di prova" che risulta essere il fondamento delle forme di acquisizione di mezzi di prove formati in modo diverso da quello che caratterizza il "processo orale" o in fase diversa da quella naturalmente destinata all'accertamento del fatto e della responsabilità.L' approccio e' nuovo; il punto di vista e' problematico; i ragionamenti sono complessi e talvolta in apparenza contraddittori, anche perché, in premessa, bisognava sgombrare il campo da una permanente letteratura che colloca quel principio nell' alveo del sistema inquisitorio,spesso in modo acritico e in maniera insistente, fino alla infelice identificazione del suo oggetto con il "processo scritto": insomma, "non dispersione" equivarrebbe ad inquisitorieta'. Dunque, tra interrogativi ed incerte acquisizioni letterarie; tra dubbi ermeneutici e certezze giurisprudenziali che, invece, mostrano sicura irrinunziabilita' dei dati probatori così acquisiti, non sempre e non solo in ragione di prassi devianti o di interpretazioni "lassiste" e permissive; tra insoliti approfondimenti dogmatici e qualche recentissimo riferimento dottrinario, tra tante insidie l' Autore affronta la domanda essenziale:cosa e', quando serve e come si atteggia legittimamente la "non dispersione" in un "processo orale", tema che l' Autore affronta compiacendosi dell'ausilio dogmatico dialetticamente acquisito.L' itinerario, complesso e problematico, sembra esplodere intorno a due diverse esperienze, storicamente non contestuali eppure confluenti: quella culturale, identifica il principio col "processo scritto" e con la filosofia adialettica del Codice Rocco; quella giurisprudenziale, datata all'inizio degli anni '90, fa deflagrare la contraddizione interna al nuovo Codice tra fine del processo e limiti per il suo raggiungimento: la crisi della prova orale, palese in quegli anni, spinse la Corte costituzionale a denunziare la quotidiana contraddizione tra azioni legittimamente proposte sulla scorta di dichiarazioni acquisite dal pubblico ministero e giudizi inutili, frutto delle eccessive regole di protezione del dibattimento rispetto ai pregressi elementi acquisiti dagli imputati di qualsiasi natura e genere e dai testimoni silenti o mendaci nella fase della "legittima" acquisizione della prova. La consapevolezza del fallimento dello scopo del processo per questa strada avvia, finalmente, ma non immediatamente e non per tutti, la riflessione sulla fallace identificazione tra "processo scritto" e "principio di non dispersione della prova" ed il conseguenziale quesito relativo al contenuto ed all’ambito del secondo, alla funzione processuale che svolge, alla sua compatibilità col sistema; interrogativi ovviamente reazionari per i nostalgici radicali dottori per i quali il processo accusatorio e' il "gioco tra le parti" - pur privato delle fondamentali regole della responsabilità e della lealtà - , il cui fine non realizza (= non deve realizzare) l' accertamento del fatto storico, ma la ricostruzione dello stesso secondo capacita', nella quale ogni immissione del giudice e' invadenza inquisitoria. Dunque, la domanda iniziale; alla quale l' Autore da' risposta articolata, argomentata, adesiva ad una metodologia del ragionamento che privilegia la ricostruzione della coerenza filosofica del principio con il fine del processo e con le tessere modali identitarie del sistema accusatorio, ma che mai accantona il tessuto normativo dei diversi settori che convergono nel giudizio e che avvicinano il libero convincimento del giudice allo scopo del processo.Il tassello centrale e' fornito dai commi 4 e 5 dell' art. 111 della Costituzione: la continuità concettuale e la consequenzialità letteraria sono la migliore dimostrazione dell' oggetto del contraddittorio e della sua funzione, ma anche e soprattutto - e' questa la più originale novità della recente disposizione costituzionale - della deduttiva e coerente predisposizione della tassativa tipicità delle situazioni che legittimano il ricorso alla "non dispersione"; che non e' quella della lettura dibattimentale di prove acquisite in precedenza - così, invece, nel Codice Rocco; così, ancora, nelle ipotesi di anticipazione della prova nel Codice Vassalli - , ma quella del necessario recupero dibattimentale di atti privi di valore probatorio, secondo il senso che la storicizzazione costituzionale attribuisce al principio. Questo, dunque, perde la natura di mero canone "derogatorio" del contraddittorio, definizione su cui la letteratura insiste; ma quella determinazione offusca la forza restrittiva della norma costituzionale rispetto ai bisogni ermeneutici delle situazioni disciplinari ed alla eccezionalità dei comportamenti processuali che legittimano le letture.L'inquadramento dogmatico precede le ricognizioni tabellari dettate dalle diverse esigenze delle letture dibattimentali ed il rapporto con la legittima acquisizione delle prove in dibattimento, premessa degli atti che costituiscono il fondato oggetto del convincimento del giudice e delle motivazioni che lo esplicano.

La "non dispersione" nel processo penale (elaborato oggetto di VQR ministeriale)

GRIFFO M.
2011-01-01

Abstract

La dottrina tradizionale ha sempre inquadrato le letture dibattimentali nella filosofia della immediatezza ed ha sempre attribuito a questo complesso istituto processuale il consequenziale effetto di rendere inoperoso il principio di oralità della prova. Anzi, proprio alla "prova per lettura" si e' attribuita la forza di rendere riconoscibile il sistema processuale, essendo essa la regola nel processo Rocco - e, più in generale nel sistema inquisitorio - al punto da costituire un punto di forza nella rappresentazione della opposta filosofia accusatoria, che, si dice, appunto, sarebbe connotata dalla immediatezza e dalla oralità, auspicando, perciò, il passaggio dal " dibattimento sulla prova" al " dibattimento per la prova".Il lettore sa che gli slogan ora riferiti si addicono soprattutto al "contraddittorio" , questo, si, elemento qualificante del sistema nella letteratura maggioritaria; ma egli sa, anche, che di solito la dottrina processualpenalistica si e' attardata nella spiegazione della unita' indissolubile delle tre "caratterizzazioni" della prova, tranne poi a dividersi quando la "peculiarità" e' riferita al processo non alle modalità acquisitive dello specifico elemento di prova.Per capire bene la vicenda e, soprattutto, la sua dimensione sistemica, ho sempre cercato di ricordare i Manuali del tempo in cui ero studente universitario; anzi li ho sempre consultati - e li consulto ancora -, quali fonti inesauribili della capacita' di organizzare la conseguenzialita' della scienza processualistica e della circolarita' argomentativa con cui i loro illustri Autori si attardavano anche sulla semantica dei concetti, senza tralasciare i profili dogmatici della vicendaL' abitudine oggi e' persa, perché la "quantità" delle "discipline " codicistiche sembra aver messo in disparte le "curiosità" ontologiche di questo o di quello istituto, preferendo - necessariamente, oggi; ma non e' da tutti, come si dice -; privilegiando cenni a "detti" giurisprudenziali, certamente più utili in un mondo nel quale le molte cause della debolezza della Scienza giuridica inducono ad indulgere sui significati giurisprudenziali delle situazioni giuridiche. Dicevo: nel particolare, per capire bene la vicenda ricorro ai vecchi Manuali per cogliere il senso della rappresentazione "a specchio" con cui quei Maestri mostravano le caratteristiche dei sistemi processuali, talvolta con singolare maestria editoriale, al punto che si trovavano difronte le pagine nelle quali erano rispettivamente elencati i caratteri dell'uno e/o dell' altro sistema. Dal confronto si coglie, sul piano culturale, la scarsa novità del discorso, giacche' ancora si insiste sulle differenze strutturali dei due sistemi; ancora oggi si dice che il sistema accusatorio contrappone la prova "orale" a quella "scritta" dell' opposto sistema inquisitorio, senza alcun approfondimento sulle relazioni tra filosofie e strutture, che - in ben altro modo - condizionano i rapporti tra logica del sistema, modello processuale e strutture disciplinaridel singolo settore. Soprattutto resta nell'ombra la diversa qualità del "processo scritto" rispetto a quello "orale" e che questo organizza diritti, poteri, oneri e facoltà processuali in tutt' altra maniera, essendo questa la materia denominata "Procedura penale" e quelli i suoi oggetti relativi alla tutela delle situazioni soggettive protette, non alla descrizione di mere attività del processo, si accontenta di definizioni nozionistiche più o meno ripetitive del contenuto delle norme processuali.Fortunatamente molti Autori contemporanei avvertono la insoddisfazione di una materia insegnata per mere definizioni e che quindi ignora le argomentazioni con cui legislatore, dottrina e giurisprudenza regolano i poteri di immissione dei soggetti pubblici del processo nelle libertà fondamentali della persona, metodo a cui non fa da velo la "quantità" della materia, risultando sufficienti - e certamente più utili - indicazioni di metodo non sterili elencazioni definitorie.Il "processo orale", insomma, non e' solo un struttura che regola l' iter delle attività orientate ad una decisione giudiziale su un fatto che costituisce reato commesso da un soggetto il cui status deve passare da imputato ad assolto o condannato; il sistema accusatorio e' la premessa filosofica per la organizzazione della giurisdizione penale in uno Stato democratico e come tale si contrappone alle premesse logiche della organizzazione del processo di uno stato autoritario. Insomma, Il sistema accusatorio e' la raccolta razionale dei modi di tutela della persona nel processo, laddove quello inquisitorio e' la somma degli strumenti anche illiberali per la difesa dello stato. Dunque, la contrapposizione sistemica e' tra "processo orale" e "processo scritto".Il lettore disattento dirà che,oltre a gratuite esagerazioni e ad inopportune generalizzazioni, sono decisamente fuori dal seminato. Forse e' così. Forse in astratto ha ragione, se tutto ciò non facesse da sfondo al lavoro che presento, la cui genesi, appunto, si interrogava sui profili strutturali della materia, rappresentando, le letture, palesi deroghe al principio di immediatezza e di oralità, secondo il consueto modo con cui la letteratura, anche contemporanea, si interessa dell'argomento. Solo che, in questa dimensione, il problema resta immutato, fermo sulla definizione derogatoria di quella forma di acquisizione degli elementi si prova rispetto al sistema che la ospita, senza rivelarne il perché, senza descriverne l'oggetto, soprattutto senza comprenderne fondamento, coerenza e compatibilità con la ideologia accusatoria, la cui carenza comporta l' allocazione di quegli oggetti nella ripetuta natura "mista" del processo attualmente in vigore, a cui si attribuisce - ma, in modo acritico - il persistente ricorso a strumenti di permanente irrazionalità inquisitoria. Si liquidano, così, nodi centrali della moderna dogmatica processualistica, rinunziando a comprendere la funzione del sistema-processo in uno Stato democratico ed i modi con cui esso raggiunge il suo scopo.Oggi, poi, in questa materia sembrano campeggiare al centro di ogni ragionamento due domande ritenute essenziali: perché il legislatore Costituente di fine millennio non abbia richiamato le due caratteristiche fondamentali del processo accusatorio: appunto, immediatezza e oralità; secondo e di conseguenza, se il termine "contraddittorio" che compare nel comma quattro del nuovo art. 111 Cost. deve essere ritenuto ancora inclusivo di quei caratteri, dando così seguito alla risalente dottrina che in quel vocabolo sintetizza una monade onnivora dei tre elementi accusatori. E già qui i primi intoppi. Se fosse così, il vulnus a immediatezza e oralità comporterebbe eguali giudizi di legittimità dei vizi del contraddittorio; se fosse così le norme su cui speculare in termini di legittimità non sarebbero solo quelle relative alle letture; se fosse così acquisterebbe valore costituzionale il principio di concentrazione, non potendosi negare che la immediatezza realizza la sua funzione di "memoria della fonte di prova" proprio attraverso quella via; e spero che, per altri, immediatezza non esprima diverso significato.Ma, se fosse così, la disposizione costituzionale ritenuta indispensabile a raccogliere e rappresentare a quel livello le regole per la giurisdizione avrebbe più limitata forza innovativa, peraltro rendendo criptico ed equivoco il rapporto tra comma 4 e comma 5, che, viceversa, ne manifestano le più rilevanti novità, anche sul terreno culturale.Su questi interrogativi e, soprattutto, sulla storia che ha prodotto l' ora richiamata novità statutaria e sulla filosofia che ha guidato il Costituente proprio rispetto agli oggetti ora evocati; ancora: approfittando della dialettica, talvolta anche accesa, che l'Autore ha intrattenuto con chi ha responsabilità formativa delle nuove generazioni di docenti; infine: recependo l' insegnamento sull' intimo intreccio dei principi fondamentali del processo democratico, tra i quali non può mancare quello utilitaristico inteso - non solo in termini di economia processuale ma - quale valore per il raggiungimento del fine della giurisdizione ed oggi dettato proprio nel quinto comma della nuova disposiIone costituzionale; insomma: raccogliendo queste esperienze dialettiche, l' Autore ha radicalmente modificato il punto di osservazione, orientandolo verso la "non dispersione degli elementi di prova" che risulta essere il fondamento delle forme di acquisizione di mezzi di prove formati in modo diverso da quello che caratterizza il "processo orale" o in fase diversa da quella naturalmente destinata all'accertamento del fatto e della responsabilità.L' approccio e' nuovo; il punto di vista e' problematico; i ragionamenti sono complessi e talvolta in apparenza contraddittori, anche perché, in premessa, bisognava sgombrare il campo da una permanente letteratura che colloca quel principio nell' alveo del sistema inquisitorio,spesso in modo acritico e in maniera insistente, fino alla infelice identificazione del suo oggetto con il "processo scritto": insomma, "non dispersione" equivarrebbe ad inquisitorieta'. Dunque, tra interrogativi ed incerte acquisizioni letterarie; tra dubbi ermeneutici e certezze giurisprudenziali che, invece, mostrano sicura irrinunziabilita' dei dati probatori così acquisiti, non sempre e non solo in ragione di prassi devianti o di interpretazioni "lassiste" e permissive; tra insoliti approfondimenti dogmatici e qualche recentissimo riferimento dottrinario, tra tante insidie l' Autore affronta la domanda essenziale:cosa e', quando serve e come si atteggia legittimamente la "non dispersione" in un "processo orale", tema che l' Autore affronta compiacendosi dell'ausilio dogmatico dialetticamente acquisito.L' itinerario, complesso e problematico, sembra esplodere intorno a due diverse esperienze, storicamente non contestuali eppure confluenti: quella culturale, identifica il principio col "processo scritto" e con la filosofia adialettica del Codice Rocco; quella giurisprudenziale, datata all'inizio degli anni '90, fa deflagrare la contraddizione interna al nuovo Codice tra fine del processo e limiti per il suo raggiungimento: la crisi della prova orale, palese in quegli anni, spinse la Corte costituzionale a denunziare la quotidiana contraddizione tra azioni legittimamente proposte sulla scorta di dichiarazioni acquisite dal pubblico ministero e giudizi inutili, frutto delle eccessive regole di protezione del dibattimento rispetto ai pregressi elementi acquisiti dagli imputati di qualsiasi natura e genere e dai testimoni silenti o mendaci nella fase della "legittima" acquisizione della prova. La consapevolezza del fallimento dello scopo del processo per questa strada avvia, finalmente, ma non immediatamente e non per tutti, la riflessione sulla fallace identificazione tra "processo scritto" e "principio di non dispersione della prova" ed il conseguenziale quesito relativo al contenuto ed all’ambito del secondo, alla funzione processuale che svolge, alla sua compatibilità col sistema; interrogativi ovviamente reazionari per i nostalgici radicali dottori per i quali il processo accusatorio e' il "gioco tra le parti" - pur privato delle fondamentali regole della responsabilità e della lealtà - , il cui fine non realizza (= non deve realizzare) l' accertamento del fatto storico, ma la ricostruzione dello stesso secondo capacita', nella quale ogni immissione del giudice e' invadenza inquisitoria. Dunque, la domanda iniziale; alla quale l' Autore da' risposta articolata, argomentata, adesiva ad una metodologia del ragionamento che privilegia la ricostruzione della coerenza filosofica del principio con il fine del processo e con le tessere modali identitarie del sistema accusatorio, ma che mai accantona il tessuto normativo dei diversi settori che convergono nel giudizio e che avvicinano il libero convincimento del giudice allo scopo del processo.Il tassello centrale e' fornito dai commi 4 e 5 dell' art. 111 della Costituzione: la continuità concettuale e la consequenzialità letteraria sono la migliore dimostrazione dell' oggetto del contraddittorio e della sua funzione, ma anche e soprattutto - e' questa la più originale novità della recente disposizione costituzionale - della deduttiva e coerente predisposizione della tassativa tipicità delle situazioni che legittimano il ricorso alla "non dispersione"; che non e' quella della lettura dibattimentale di prove acquisite in precedenza - così, invece, nel Codice Rocco; così, ancora, nelle ipotesi di anticipazione della prova nel Codice Vassalli - , ma quella del necessario recupero dibattimentale di atti privi di valore probatorio, secondo il senso che la storicizzazione costituzionale attribuisce al principio. Questo, dunque, perde la natura di mero canone "derogatorio" del contraddittorio, definizione su cui la letteratura insiste; ma quella determinazione offusca la forza restrittiva della norma costituzionale rispetto ai bisogni ermeneutici delle situazioni disciplinari ed alla eccezionalità dei comportamenti processuali che legittimano le letture.L'inquadramento dogmatico precede le ricognizioni tabellari dettate dalle diverse esigenze delle letture dibattimentali ed il rapporto con la legittima acquisizione delle prove in dibattimento, premessa degli atti che costituiscono il fondato oggetto del convincimento del giudice e delle motivazioni che lo esplicano.
2011
978-88-495-2270-9
non dispersione; letture; contestazioni
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